sabato, luglio 02, 2011

Ital-Thai costruirà un mega porto da nove miliardi di dollari sulla costa birmana

Rendering del porto di DaweiRendering del porto di Dawei

«Ci mettiamo la faccia: ci prenderemo cura di tutte le persone che dovranno lasciare le loro case. Ne faremo di nuove. Se qualcuno subirà un torto, andrò personalmente a protestare col Governo birmano». Parola di Somchet Thinapong, Managing Director del Dawei Development Project.

Il progetto, del valore di quasi nove miliardi di dollari, è di un porto per navi di grande tonnellaggio a Dawei, sulla costa birmana del Mar delle Andamane, a un centinaio di chilometri dal confine thai, 300 da Bangkok. Il piano comprende anche insediamenti industriali, collegamenti stradali e ferroviari. L'area di 250 chilometri quadrati attorno a Dawei è destinata a diventare la prima "zona economica speciale" del Myanmar (nome ufficiale della Birmania).

Dopo anni di trattative il progetto sembra concretizzarsi con l'annuncio della Italian-Thai Development (ITD), proprietaria della Dawei Development, che il 49% della società sviluppatrice è disponibile per investitori locali e stranieri.

La Italian-Thai si chiama così perché fu fondata nel 1958 da un thai, Chaijudh Karnasuta, e da un italiano, Giorgio Berlingieri, che aveva operato come sommozzatore sul finire della seconda guerra mondiale. L'amicizia tra i due era nata durante il recupero di 5 chiatte affondate nel Chao Phraya, il fiume che attraversa Bangkok. Nel 1981, con la scomparsa dell'italiano, la ITD divenne totalmente thai. Oggi non si sa se dispiacersene o rallegrarsene.

Il rammarico può derivare dal fatto che l'Italthai è la più grande impresa di costruzione d'infrastrutture della Thailandia. Se il progetto sarà portato a termine, potrebbe entrare nella top ten asiatica: il Governo birmano ha garantito alla società esenzioni fiscali, la concessione di 75 anni per la costruzione degli impianti industriali pesanti e di 40 per quello leggeri. Alla fine, il valore dell'operazione potrebbe essere di quasi 60 miliardi di dollari. Il Dawei Project, infatti, può ridisegnare lo scenario macroeconomico dell'area, ponendosi come snodo nel traffico tra i paesi dell'Asean (l'Associazione delle nazioni del sud-est asiatico) e tra questi e la Cina, bypassando la rotta attraverso lo Stretto di Malacca, una navigazione di circa 7 giorni.

«Questo progetto può cambiare l'Asia», afferma Somchet Thinapong. Secondo lui, il porto di Dawei, centrando il commercio per la Cina nel golfo del Bengala, potrebbe addirittura disinnescare la crisi per il controllo del traffico sulle coste del Mar della Cina Meridionale. La Strategy è una delle "S" su cui Somchet vuole basare la presentazione agli investitori e che butta giù nel corso dell'intervista. Seguono: Scale (l'economia di scala), Scope (l'opportunità di migliorare), Speed (velocità), Sourcing (la disponibilità di materiali), Service e Sales (vendite). Tutte assieme, secondo Somchet, possono cambiare la vita di milioni di persone.
Ma forse bisogna rallegrarsi che l'Italian-Thai sia italiana solo per metà nome. Perché c'è un'altra S nella presentazione. Sta per Security. Somchet ammette che c'è un margine di rischio. Determinato dalla guerriglia etnica e dalle sanzioni occidentali sul governo birmano (altra S). Ecco perché la società ci "mette la faccia": tutelando le popolazioni locali, eviterà l'ennesima crisi umanitaria in Birmania.

«L'obiettivo è solo il profitto. Vedono solo la strada più breve per Bangkok, per il golfo di Thailandia. Non vedono la gente, l'ambiente» replica Kraisak Choonhavan, senatore thai, attivista per i diritti umani, ambientalista, presidente dell'Asean Inter-Parliamentary Myanmar Caucus, che opera per la democrazia in Birmania. «L'idea di un porto sul Mar delle Andamane è vecchia. Doveva essere in Thailandia. Ma qui c'erano troppi problemi. Ecco quindi la soluzione di spostarsi in Birmania: là i problemi non ci sono e se ci sono, si risolvono» dice Kraisak, che ricorda altri progetti di grandi opere in Birmania risolte con terribili violazioni dei diritti umani, stupri di massa.

Ha scritto Robert Kaplan nel saggio Monsoon: «Mentre l'Oceano Indiano diventa il collettore delle politiche energetiche che alimentano il XXI secolo, milioni di birmani potrebbero essere gli sconfitti di questo processo, vittime di una diabolica confluenza di totalitarismo, realpolitik e profitti delle imprese».

Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-06-30/italian-thai-birmania-103700.shtml?uuid=Aa8IWBkD

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