domenica, ottobre 31, 2010

Il punto della situazione in Thailandia a cinque mesi dagli scontri tra governo e camicie rosse

Fonte: http://www.ilpost.it/2010/10/29/camicie-rosse-thailandia/

Il mondo se n’è già dimenticato. Ma in Thailandia, dove ai fantasmi si è sempre dato un certo peso, si fa fatica a mettere una pietra sopra quei giorni. Cinque mesi fa, televisioni e giornali di ogni angolo del pianeta mostravano le immagini di una Bangkok teatro degli scontri tra l’esercito e le cosiddette “camicie rosse” con il risultato di 91 morti, 1300 feriti e 27 edifici distrutti. Ora che il sangue è asciutto e che il traffico è ritornato ad ingolfare le strade della capitale tailandese, il mondo ha già spostato lo sguardo altrove, a cercare altre stragi, altri eroi, altri drammi. Massacri simili e “sanguinosi maggi” dopotutto non sono una novità nella storia tailandese recente e sono tutti sfociati nel nulla: perché questo dovrebbe essere diverso da quelli del passato?

«Ci siamo cascati tutti» mi ripete un accademico occidentale cercando di essere in qualche modo consolatorio. Tutti, il 19 settembre del 2006, avevamo applaudito i militari che avevano ribaltato il governo Thaksin con un colpo di stato non violento. Tutti noi, la mattina seguente, eravamo per strada assieme a tanti bangkokiani a portare gelati e bibite fresche ai soldati di guardia in ogni angolo della città. Tutti ci eravamo fatti fotografare davanti al Palazzo del Governo, accanto ai militari, sullo sfondo dei carro armati dai cui cannoni, proprio come recita una vecchia canzone pacifista italiana, uscivano letteralmente fiori anziché munizioni. Tutti eravamo convinti che quel colpo di stato, per quanto logicamente fuorilegge, fosse una cosa buona per la Thailandia. Ed avevamo certamente delle ottime ragioni per farlo.

Thaksin: uomo d’affari multimiliardario (in Europa famoso per essere stato proprietario del Manchester United dal 2007 al 2008) in un paese di poveri ricchi di scheletri – scheletri veri e propri – nell’armadio; corrotto all’inverosimile, come il giornalista Sondhi aveva dimostrato all’intero paese da un palco alzato nel centro di Bangkok; arrogante e sprezzante di ogni autorità, voci di corridoio dicevano fosse intenzionato ad usurpare il potere dall’amatissimo e venerato re per rimpiazzare la monarchia con una repubblica, di cui si sarebbe fatto presidente; responsabile nel 2003, in barba ai diritti umani, di aver scatenato una “guerra alla droga” che si era lasciata alle spalle 2.500 uccisioni per mano delle autorità, delle quali più della metà giustificate da ragioni politiche, ed in merito alle quali, interrogato dalla comunità internazionale, aveva risposto che “le Nazioni Unite non sono mica mio padre”.

Thaksin si era rivelato un dispotico calcolatore, capace con le sue bravate di mettere completamente in ombra le valide riforme, dalla sanità all’istruzione, grazie alle quali si era sempre aggiudicato la maggioranza alle urne. Non ci eravamo forse sbagliati di molto nel prendere le distanze da Thaksin, ma forse avremmo dovuto ascoltare meglio un vecchio proverbio tailandese che mette in guardia dal “fuggire dalla tigre per trovare un coccodrillo”. I militari, togliendo i fiori dai cannoni, abolirono la costituzione introducendo la legge marziale, censurarono i mass media a tappeto e cancellarono le elezioni democratiche, previste per lo stesso novembre, promettendo di ristabilirle “entro un anno”.

Le elezioni furono invece indette soltanto quindici mesi dopo, nel dicembre del 2007, e chi le vinse fu nuovamente il partito di Thaksin, nonostante quest’ultimo fosse in esilio. Un gruppo di tailandesi, composto per la maggioranza da bangkokiani, capitanati dal giornalista Sondhi, ormai diventato leader politico, scese quindi in piazza indossando camicie gialle, il colore del re, dando inizio ad una serie di manifestazioni che sfociarono nell’occupazione del Palazzo del Governo, per quattro mesi consecutivi, e dell’aeroporto internazionale di Bangkok, per una settimana. In modo a dir poco “bizzarro”, per parafrasare il reporting della CNN in quell’occasione, il thaksiniano primo ministro Samak fu costretto a dare le dimissioni nove mesi dopo, accusato di conflitto d’interessi per aver partecipato, dietro compenso, ad un programma televisivo culinario, dove aveva presentato la sua ultima creazione gourmet, lo “stinco in Coca Cola”; e il suo successore, Somchai, venne rimosso dopo altri due mesi con l’accusa di frode elettorale. Abhisit, leader dell’opposizione, fu quindi eletto premier dal parlamento.

Le camicie rosse diedero allora il cambio al precedente movimento giallo, organizzando manifestazioni in un clima di crescente censura da parte del governo Abhisit. Il 12 marzo 2010, convinti della loro imminente vittoria in virtù del consistente seguito popolare, a migliaia entrarono a Bangkok trionfanti a bordo di pick-up, rimorchi, bus, treni ed altri mezzi di fortuna, con bandierine e fascette rosse attorno alla fronte, per protestare e chiedere le elezioni. Dopo due mesi d’occupazione dell’area più centrale della città, il primo ministro Abhisit, dichiarando lo stato d’emergenza che proibisce raggruppamenti di più di cinque persone, rendeva automaticamente fuorilegge la distesa di manifestanti radunata nella capitale, dando il via libera all’intervento militare che sarebbe culminato nel massacro del 19 maggio.

Oggi, le bombe rinvenute regolarmente in giro per Bangkok, della cui paternità il governo ed i rossi si accusano reciprocamente, fanno sì che lo stato d’emergenza non venga ancora ritirato dalla capitale. Soldati con fucili in braccio e dita sul grilletto camminano avanti e indietro in varie parti della città e davanti ad ogni stazione del treno elevato, per ricordare ai simpatizzanti rossi chi ha il controllo della zona e, contemporaneamente, per non far scemare il livello di tensione nella capitale. La censura, giustificata dallo stato d’emergenza, ha raggiunto un livello imbarazzante, in cui ogni dissidente può essere arrestato perché “dannoso per la stabilità nazionale” in quanto “promotore di disunità tra il popolo”.

Editori, giornalisti e webmaster pro rossi sono quindi dietro le sbarre, i siti internet vengono chiusi a ripetizione, le pubblicazioni più critiche subiscono la sospensione; recentemente, persino una venditrice di ciabatte raffiguranti i volti di parlamentari sulla suola è stata tratta in arresto. Un numero imprecisato di camicie rosse restano in cella e rischiano la pena di morte per “terrorismo”, mentre nuove manifestazioni sono tassativamente vietate, anche se il governo ogni tanto concede ai rossi di protestare per mezza giornata in qualche area designata.

Le camicie gialle hanno invece protestato più volte a Bangkok, e nei loro confronti non è stato preso alcun provvedimento; il premier in un’occasione si è anzi unito a loro per una discussione. Le occupazioni di governo ed aeroporto durante le manifestazioni delle camicie gialle restano impunite a causa di processi che non iniziano mai. Allo stesso modo, i responsabili del colpo di stato del 2006 sono a piede libero, protetti da un emendamento della costituzione.

Anche se il mondo ha distolto l’attenzione dalla Thailandia, e i turisti hanno rincominciato ad atterrare al Suvarnabhumi come se niente fosse, il paese del sud est asiatico, la cui spensieratezza e cordialità gli valse il nome di “Terra dei Sorrisi”, continua a fare i conti con le conseguenze del suo passato recente. Dietro le porte delle case, nei vicoli, nelle risaie di campagna, le persone continuano a parlare. Anzi, come mi ha fatto notare una camicia rossa nella provincia di Udon Thani, parlano forse ancora più che nel periodo pre-censura. I fantasmi del massacro sono vivi come non mai.

(pubblicato su China Files)

giovedì, ottobre 28, 2010

Il Segretario Onu in una visita lampo in Thailandia.




THAILANDIA-ONU
Ban Ki-Moon compie una visita lampo in Thailandia e esorta a trovare l’armonia interna
di Weena Kowitwanij

Il Segretario generale delle Nazioni Unite ha dichiarato che l’Onu è pronto a fornire supporto tecnico al Comitato Thai di solidarietà, per trovare una soluzione armonica ai problemi sociali e politici interni. Chiesto il rilascio dei leader delle Camice Rosse.

Bangkok (AsiaNews) – Ban Ki-Moon e sua moglie, Bun Soon-Taek hanno compiuto una visita di un giorno in Thailandia, prima di recarsi a presenziare al terzo vertice congiunto Onu-Asean. Il primo ministro thailandese Abhisit Vejjajiva l’aveva invitato a Bangkok quanso si erano incontrati il 6 ottobre scorso a New York all’apertura ufficiale del progetto Elfi (Enhancing Lives of Female Inmates) lanciato dalla principessa Bajrakitiyabha, più noto come il progetto Kamlangjai. Scopo della visita, da parte del primo ministro, era quello di presentare un’immagine del ruolo creativo della Tailandia nella regione, e l’opportunità di avviare discussioni bilaterali nel palazzo del Governo.

Dopo il colloquio, Ban Ki-Moon ha detto: “Spero che la Thailandia raggiunga l’armonia grazie al dialogo reciproco, e ci sarà una soluzione migliore nel problema dei 91 morti…con un’indagine trasparente, dove entrambe le parti avranno un ruolo, e questa sarà la strada per rinforzare la nazione Thai”.

Il Segretario Onu ha aggiunto: “La crisi in Thailandia è un problema interno e deve essere risolto nel quadro dei problemi sociali e politici del popolo Thai. L’Onu è pronto da dare il supporto tecnico al Comitato Thai di solidarietà, come abbiamo già fatto”. Il Primo ministro Vejjajiva ha risposto al giornalista sul problema di Arisman Phongroengwrong, un leader delle Camicie Rosse nascosto in Cambogia, fatto di cui il governo ha le prove. “Questo non è un tema che può portare a una controversia, e non toccherà le relazioni fra Thailandia e Cambogia. Dobbiamo partire dalla considerazione che nazioni vicine dovrebbero dare collaborazione reciproca nel caso che ci sia qualche cosa che mina la stabilità di una nazione. Il Primo ministro Hun Sen ha detto che se c’è la prova che qualcuno ha infranto la legge e si nasconde in Cambogia è pronto a cooperare”.

Nel pomeriggio Jatuporn Phrompan ha presentati a Ban Ki-Moon il documento e il CD preparati dal Pheu Thai Party sui fatti di maggio, e li ha dati anche alla sede Onu in Thailandia, dicendo che “Il popolo Thai si sta dividendo in gruppi e il governo non da attenzione al movimento”.

Jatuporn paragona I fatti del 19 maggio a quanto è accaduto 30 anni fa nella città coreana di Kwang Ju. Ha anche chiesto il rilascio dei leaders delle Camicie Rosse a cui non è stato concesso di uscire su cauzione. La moglie del Primo ministro, Phimpa Vejjajiva, ha accompagnato la signora Soon-Taek a visitare le donne recluse nel carcere di Klong Prame dove grazie al “Kamlangjai Project” le prigioniere ricevono appoggio morale, cure mediche di base e opportunità di un reinserimento nella società. Il progetto offre la possibilità alle prigioniere che hanno bambini piccoli di stare con loro e allattarli.

giovedì, ottobre 21, 2010

Moratoria per le dighe sul Mekong: distruggono ambiente e popolazione.




Il Laos e la Cambogia programmano dighe per vendere energia elettrica. La Cina ha 4 grandi dighe a monte ed è accusata di sottrarre l’acqua. A rischio l’ecosistema del fiume e la vita di 65 milioni di persone. Vietnam e Thailandia non contrarie a un coinvolgimento degli Usa.

Hanoi (AsiaNews/Agenzie) – Circa 65 milioni di persone vivono lungo il fiume Mekong, che li sostiene grazie alla pesca (stimata valere 3 miliardi di dollari annui) e agli allevamenti ittici. Ma ora il fiume, lungo 4.880 chilometri e ritenuto il 2° più ricco al mondo per biodiversità, è minacciato da molti progetti di dighe idroelettriche, tra cui la diga Xayaburi, che a settembre il Laos ha sottoposto alla Commissione per il Fiume Mekong (Cfm).

Il povero Laos vuole realizzare energia da vendere a Thailandia e Vietnam. Il costo di costruzione sarà in gran parte coperto da una ditta thailandese. Ma ambientalisti e residenti sono preoccupati perché nessuno ha studiato in modo approfondito le possibili conseguenze per l’ambiente delle molte dighe previste. Chiedono una moratoria di alcuni anni per studiarle.

Secondo Kraisak Choonhavan, ex senatore e viceleader del Partito Democratico al governo in Thailandia, “gli effetti della diga Xayaburi saranno devastanti per tutti i Paesi, Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam”.

Il World wildlife found avverte che la diga, che sorgerà al confine con la Thailandia, darà il colpo finale al pesce gatto gigante (che raggiunge i 300 kg di peso) e ad altre 41 specie di pesci a rischio estinzione. La diga bloccherà la migrazione dei pesci, con grande danno per la Cambogia che prende dalla pesca l’80% delle proteine consumate. Esperti prevedono che sconvolgerà la vita e i redditi di almeno 200mila thailandesi. A inizio settembre i residenti thailandesi della zona hanno scritto al premier Abhisit Vejjajiva di opporsi alla diga.

Lo scontro è acceso anche perché la Xayaburi, che si prevede produca 1.260 megawatt di energia, sarà la prima di 11 dighe previste nel basso corso del Mekong, di cui 9 nel Laos, che vuole diventare la centrale energetica della regione.

Per disciplinare lo sfruttamento del fiume, Laos, Cambogia, Thailandia e Vietnam hanno costituito la Cfm e la diga Xayaburi sarà la prima a essere esaminata come una questione internazionale. Alla Cfm, costituita nel 1995 ma che si è riunita per la prima volta lo scorso aprile, non hanno aderito la Cina, dove il fiume nasce, né il Myanmar, che partecipano quali osservatori.

La Cina ha già costruito 4 dighe sul Lancang, il corso del Mekong in Cina, tra cui una alta 292 metri. Ne ha in progetto numerose altre.

C’è grande preoccupazione e Philip Hirsch, direttore del Centro Ricerche per il Mekong presso l’Università di Sidney spiega al South China Morning Post che le previste 2 dighe cinesi Xiaowan e Nuozhadu abbasseranno il livello delle acque dell’intero sistema fluviale successivo. Pechino risponde che è stata colpita dalle peggiori siccità da un secolo, con oltre 24 milioni di persone nello Yunnan e nel Guangxi che mancano persino di acqua potabile.

La Cina ha sempre risposto che ogni Stato deve anzitutto considerare i propri interessi nazionali e si rifiuta di discutere in sede internazionale le sue dighe sul Mekong, anche se le conseguenze colpiranno gli altri Paesi. Esperti ritengono questo approccio mortale, perché così ogni Paese non può considerare gli effetti complessivi dei diversi interventi sul fiume.

Prasam Maruekpithak, in un incontro della Cfm, ha denunciato che le 4 dighe cinesi hanno già distrutto l’ecosistema del fiume.

Per questo la Thailandia e soprattutto il Vietnam sono favorevoli a un coinvolgimento degli Stati Uniti, per controbilanciare lo strapotere cinese. Nei mesi scorsi il Segretario di Stato Usa Hillary Clinton si è incontrata a Hanoi con i ministri degli Esteri di Cambogia, Laos, Thailandia e Vietnam per la Lower Mekong Initiative, istituita nel luglio 2009 per favorire la cooperazione nella regione per sanità, istruzione, ambiente e sviluppo delle infrastrutture. Il timore è che Pechino, con le sue dighe a monte, sottragga l’acqua al fiume, specie durante la stagione secca, con effetti mortali per il suo ecosistema e per la vita e le coltivazioni delle popolazioni a valle.

venerdì, ottobre 15, 2010

Immigrati birmani vittime di sfruttamento e abusi...



» 14/10/2010 12:41
THAILANDIA – MYANMAR
Immigrati birmani: vittime di sfruttamento e abusi, per la crescita dell'economia thai
di Weena Kowitwanij
Da oltre un mese 500 lavoratori protestano perché vittime di proteste e intimidazioni. Essi non ricevono lo stipendio e hanno subito la confisca dei documenti. Alla regolarizzazione, si aggiunge il problema legato all’educazione dei figli, spesso costretti a tornare nel Paese d’origine. L’opera della Chiesa cattolica con gli immigrati della provincia di Samut-Sakom.

Bangkok (AsiaNews) – Potrebbe risolversi a breve il contenzioso fra un gruppo di migranti birmani e il proprietario di una azienda di pesca, nel nord-est della Thailandia. I lavoratori protestano da oltre un mese contro episodi di violenza e intimidazioni, unite al mancato pagamento dei salari e alla confisca dei documenti. La vertenza dei 500 lavoratori birmani riapre la questione legata ai diritti dei lavoratori nel regno thai: il 5 settembre scorso 500 immigrati birmani, dipendenti della Dechapanich Fishing Net Factory, nella provincia di Khon Kaen, hanno avviato una battaglia serrata contro il padrone dell’azienda, colpevole di aver sequestrato i documenti di identità e non aver pagato gli stipendi. A questo si aggiunge il licenziamento “senza giusta causa” di cinque birmani, ai quali non sono stati nemmeno restituiti i documenti che avrebbero garantito almeno la libertà di spostamento. Della vicenda si è interessato anche il governo centrale e, nelle prossime ore, la vertenza potrebbe risolversi con esito positivo.
Il lavoro degli immigrati è uno degli elementi chiave della crescita economica registrata dalla Thailandia negli ultimi anni. Provenienti da Laos, Cambogia e Myanmar, i lavoratori a basso costo – legali e illegali – hanno soddisfatto le esigenze degli imprenditori, in un’ottica di contenimento dei costi. Tuttavia, restano ancora molte questioni irrisolte sui diritti di base degli immigrati, fra cui il salario minimo, l’educazione e l’istruzione, la confisca dei documenti come arma di ricatto e la sicurezza sul lavoro. Per i lavoratori birmani la questione si fa ancora più delicata perché – in molti casi – essi fuggono da una dittatura militare, che arresta e punisce con durezza qualsiasi forma di dissenso. Un funzionario del Dipartimento thai del lavoro conferma le difficoltà dei lavoratori migranti birmani, la cui economia “non è stabile a causa dei problemi politici”. Titikamol Sukyen, esperto del mondo del lavoro, centra l’attenzione sulla provincia di Samut-Sakom (Thailandia centrale), crocevia dell’industria del pescato e quindi in grado di attirare masse di immigrati: “al momento ve ne sono centinaia di migliaia, fra regolari e irregolari”.
Ad AsiaNews Narong Phayongsak, un lavoratore immigrate birmano, spiega che “i thailandesi pensano che rubiamo loro opportunità di impiego e carriera”. Tuttavia, egli replica che “noi facciamo lavori di bassa manovalanza, che i thai non vogliono fare”. E aggiunge: “per il datore di lavoro, l’opera di un birmano è pari a quella di tre cittadini thai”. Questo, conclude Narong, non basta però a garantire al lavoratore immigrato “il salario minimo, percepito dai thai”. Pichit Nilthongkaum, funzionario di Samut-Sakom, sottolinea l’impegno del governo a favore dei migranti, per garantire loro la cittadinanza e farli emergere “dalla condizione di anonimato e illegalità”.
Secondo le ultime stime vi sono circa 120mila lavoratori birmani nella provincia di Samut-Sakom. Nei prossimi due anni, si dovrebbe arrivare alla regolarizzazione di altri 6 o 700mila immigrati, perché potranno chiedere permessi come autisti e non saranno vincolati alla permanenza nei centri di raccolta e ospitalità. Regolarizzare la posizione, tuttavia, non basta perché emergono altri problemi: fra questi l’educazione dei figli degli immigrati, in una realtà in cui nascono ogni giorno fino a cinque bambini.
Sompong Sakaew, coordinatore della ong RakThai Foundation, spiega il dilemma che devono affrontare i lavoratori: rimandare i figli in patria, in Myanmar, perché possano studiare, oppure avviarli fin da piccoli al mondo del lavoro, privi di istruzione. Un’alternativa agli immigrati viene però offerta dalla Chiesa cattolica thai, da sempre attenta alle problematiche della società. Fra i numerosi esempi vi è la parrocchia di Sant’Anna, situata nei presi della comunità di migranti birmani e guidata da p. Theraphol Kobvitthayakul, parroco e direttore dell’ospedale di Sant’Anna. “Il centro – spiega il sacerdote – ha garantito a oltre 100 bambini, fra i 3 e i 12 anni, un programma scolastico annuale e gratuito, incentrato soprattutto sulla lingua thai e birmana”. L’impegno dei cattolici è mirato anche alla formazione dei figli degli immigrati, perché imparino a “essere persone buone”. Esso si è sviluppato grazie all’opera di volontari della parrocchia, che vogliono dedicare parte del loro tempo ai figli degli immigrati.

lunedì, ottobre 11, 2010

Pomozione Camere Kata & Karon in Phuket continua per tutto Ottobre

La speciale promozione Settembre 2010 prezzo a notte 900THB per tutte le camere compresa la nuova struttura di Karon ha riscosso un discreto successo. Per questo motivo abbiamo deciso di continuare la promozione per tutto questo mese fino all'inizio di Novembre aspettando alta stagione e si spera un poco di sole...

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giovedì, ottobre 07, 2010

Le mie riflessioni sull'Amore con la "A maiuscola".

Oggi “cazzeggiando mentalmente” mi sono chiesto che cosa sia amore? Si Amore con “ A maiuscola”, quello che prima o poi tutti dicono di vivere almeno una volta nella vita. Poi non contento della mia para mentale ho voluto “esagerare”, ho chiesto alla mia segretaria Kwan cosa pensa dell'amore tra un Thai ed un Farang. Lei ragazza acqua e sapone, chi è stato in agenzia da me sicuramente la ricorda per i suoi sorrisi e gentilezza mi risponde:
Non è possibile, siamo troppo diversi, forse solo 1 su 100 dei rapporti misti può funzionare e comunque non è amore! Perchè noi Thai amiamo in modo diverso, pensiamo in modo diverso, siamo troppo diversi punto e basta è un rapporto fallimentare senza via di scampo.
Ho guardato Kwan negli occhi e gli ho risposto GRAZIE, almeno qualcuno sincero che ha voglia di rispondere alle mie paranoie lo trovo ancora...

Ho cazzeggiato ancora mentalmente pensando alle mie esperienze passate, alle donne che ho amato o perlomeno sono convinto d'averlo fatto. Poi ho pensato alla mia situazione attuale, e non vi racconto nulla perchè sono fattacci miei.
Sono arrivato a questa conclusione:
Neppure l’amore ha scopo, al contrario di quanto dicono molti, secondo i quali scopo dell’amore è di condurre alla soddisfazione sessuale o al matrimonio, fare figli e costruirsi una vita borghesemente normale. Ma è proprio per questo che l’amore anche oggi è tanto raro!! L’amore senza scopo, quello in cui tutto ciò che è importante è l’atto dell’amore in sé, l’autoespressione dell’individuo, la manifestazione delle sue facoltà.

Poi mi sono detto diamo un'occhiata su internet e vediamo di dare una risposta “scientifica” all'amore che ci sia una chimica nascosta nel feeling che unisce due individui, sembra ormai fuori di dubbio, almeno tra gli addetti ai lavori, ovvero innamorati e scienziati. L’amore è diventato oggetto di studio da parte di psicologi e neurobiologi, addirittura per certi versi assimilabile ad un disturbo dell’umore o, nei casi più gravi, alla sindrome di una malattia mentale. Ansia, sbalzi di umore, inappetenza, sudorazioni improvvise, respiro affannoso, tachicardia, sensazione di vuoto allo stomaco, insonnia, pensieri ossessivi: tutto un corredo di sintomi che segnano la prima fase dell’amore. Per studiare che cosa li scatena è necessario trovare dei soggetti disposti a fare da cavia, come topolini da laboratorio.

Tra i fattori implicati nell’innamoramento - che sono diversi, tra cui ormoni e neurotrasmettitori - spicca il ruolo dell’NGF, il fattore di crescita nervosa, noto per le ricerche di Rita Levi Montalcini, agli inizi degli anni Cinquanta, sulla rigenerazione delle fibre nervose. A distanza di anni gli studi sull’NGF hanno dimostrato che si tratta di una molecola estremamente versatile, non solo una neurotrofina, dotata di attività su popolazioni di cellule dei tre sistemi nervoso-endocrino-immunitario, e inserita quindi nella categoria più ampia di sostanze umorali (citochine sintetizzate) rilasciate dalle cellule appartenenti ai sistemi della rete omeostatica. Ma quale ruolo gioca negli innamorati? “Se l’innamoramento fosse una malattia, l’NGF sarebbe il suo marcatore - ipotizza Pierluigi Politi, ricercatore dell’Università di Pavia presso l’Interdipartimental Center for Research in Molecular Medicine (CIRMC) - quando è elevato “l’infiammazione” è in corso, poi rientra nella norma. Dopo circa un anno l’amore passa dalla fase acuta a quella cronica”.

Il gruppo di ricerca del CIRMC ha misurato i livelli plasmatici di alcune neurotrofine come NGF, BDNF, NT-3 e NT-4, su un totale di 58 volontari, uomini e donne, dai 18 ai 31 anni che si erano innamorati da poco, comparandoli poi con quelli di due gruppi di controllo (un gruppo di single e un altro formato da coppie di lunga data). Il livello di NGF era significativamente più elevato nei soggetti “in love” rispetto agli altri. Inoltre esisteva una correlazione positiva tra i livelli dell’NGF e l’intensità dell’amore romantico (rilevata con una apposita scala di passionalità). Nessuna differenza riguardava le concentrazioni degli altri fattori neutrofici. Dopo poco più di un anno, nella maggioranza degli individui che avevano mantenuto la relazione, non si riscontrava più lo stato emotivo e mentale riferito all’inizio dell’innamoramento e i livelli di NGF diventavano indistinguibili da quelli dei gruppi di controllo.

Naturalmente occorreranno studi ulteriori per chiarire come agisce l’NGF. Ma, in questa corsa a comprendere la tempesta chimica che sconvolge la razionalità durante l’innamoramento, e nel coinvolgimento emotivo che si instaura tra i partner, si tende già da ora a vedere una strategia evolutiva che dura giusto quel lasso di tempo necessario ad allacciare una relazione e a mettere al mondo un bambino.

Insomma alla fine ho cazzeggiato un'ora pensando all'amore, mi sono fatto “le mie riflessioni”, e vi ho messo qui il risultato... Voi dite pure la vostra, aspetto i commenti su Facebook.
Saluti da Phuket.

Martino M.

martedì, ottobre 05, 2010

Prime rivelazioni sul nuovo film una notte da leoni 2 girato in Thailandia.

Se in Una notte da leoni i protagonisti dovevano fare i conti con le follie di Las Vegas, nel sequel potremmo ritrovarli in Thailandia alle prese con gli equivoci generati da... una transessuale!

Fonte: Latinoreview.net

ed helms notte da leoniDa quando il sequel di Una notte da leoni è diventato ufficiale, si è molto speculato sulla destinazione che farà da sfondo alle nuove disavventure dei protagonisti.
Nonostante il depistaggio del regista Todd Phillips, sembra ormai assodato che il film sarà ambientato in Thailandia, una meta che creerà ai quattro amici non pochi problemi.

Ma quale sarà la trama del film? Dal momento che il film si intitola "The Hangover 2", è ovvio aspettarsi che anche questa volta tutto ruoti attorno a una notte di follie e alle sue tragiche conseguenze. Ora una gola profonda del sempre affidabile Latinoreview.net rivela alcuni ulteriori dettagli su quella che probabilmente sarà la trama del film:
Una delle mie fonti interne agli ingranaggi di Hollywood mi ha detto che dopo una notte di festeggiamenti sfrenati Stu si ubriaca pesantemente e finisce a letto con una transessuale thailandese. Il giorno dopo i ragazzi devono ricostruire gli eventi della notte precedente e scoprire cos'è successo.
Questo è tutto, ma non sappiamo ancora se la storia fra Stu e la transessuale sarà il fulcro di tutte le vicende o soltanto una fra le varie trame.
In ogni caso, meglio prendere il rumour con le pinze perchè rimaniamo ancora nell'ambito delle speculazioni. Se fosse vero, si preannunciano dei risvolti divertenti per il personaggio di Ed Helms, che già nel primo film riusciva spesso a rubare la scena ai suoi colleghi.
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