martedì, maggio 06, 2008

Thailandia invia il primo carico di aiuti in Birmania.


Portavoce del governo di Bangkok: aiuti chiesti dalla giunta

postato 23 ore fa da APCOM

Rangoon, 5 mag. (Ap) - La Thailandia invierà oggi in Birmania un primo aereo con gli aiuti di emergenza chiesti dalla giunta militare. Almeno 350 persone sono morte e migliaia di abitazioni sono state distrutte dal ciclone Nargis che si è abbattuto lo scorso fine settimane sulla zona meridionale del Paese.

Stando a quanto precisato da un portavoce del governo di Bangkok, Wichianchote Sukchotrat, la giunta birmana ha chiesto aiuti alimentari, medicinali e attrezzature per la ricostruzione. Inoltre, il ministero degli Esteri birmano ha convocato per oggi una riunione con gli Ambasciatori stranieri, facendo prevedere una richiesta di assistenza ad altri Paesi. I gruppi di dissidenti fuggiti dalla Birmania hanno chiesto alla giunta militare di autorizzare l'intervento delle organizzazioni umanitarie internazionali, denunciando l'inadeguatezza dei mezzi a disposizione del Paese, da anni sotto sanzioni, a far fronte a tali emergenze. La giunta è sempre stata restia a consentire l'ingresso in Birmania di organizzazioni straniere, a fronte delle critiche venute dalla comunità internazionale per il mancato rispetto dei diritti umani e la repressione usata contro gli oppositori politici, tra cui la Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi.

Sono cinque le regioni dove è stato dichiarato lo stato di calamità naturale, nella zona sud-occidentale el Paese. Colpita anche l'ex capitale Rangoon, città che conta circa 6,5 milioni di abitanti, dove gli abitanti più anziani sostengono di non aver mai visto tanta devastazione. Alcuni abitanti lamentano inoltre il mancato aiuto da parte delle forze dell'ordine: "Dove sono tutte queste persone in uniforme sempre pronte a picchiare i civili? - ha detto un autista di risciò sotto anonimato - dovrebbero venire fuori in forze e aiutarci a ripulire e a ripristinare l'elettricità". Da due giorni la città è senza acqua potabile ed elettricità.

Delle 351 vittime, 162 vivevano nell'isola di Haing Gyi, al largo della costa sud-occidentale del Paese, stando a quanto precisato dall'emittente tv Myaddy. Molte altre persone sono decedute nella zona del delta del Irrawaddy, il fiume che attraversa da nord a sud il Paese prima di sfociare nel Mar delle Andamane, nell'Oceano Indiano. "Il delta dell'Irrawaddy è stato colpito in maniera molto seria non solo a causa del vento e della pioggia, ma anche di una forte tempesta - ha detto il cordinatore degli aiuti umanitari Onu, Chris Kaye, a Rangoon - ci hanno detto che i villaggi sono stati completamente distrutti". Stando a quanto riferito dall'emittente tv Myaddy, è andato distrutto il 75% degli edifici della città di Labutta, nell'Irrawaddy. L'Onu sta progettando di inviare una squadra in ricognizione per accertare l'entità dei danni e degli aiuti necessari, dopo che saranno state liberate le strade. Improssibile al momento qualunque contatto telefonico.

Giovanni Staiano: 04-05-2008 ore 22:02

La giunta militare del Myanmar ha dichiarato domenica 4 maggio "area disastrata" cinque province nel sud del paese, a seguito del passaggio del ciclone Nargis, che ha impattato nel sudovest del paese, per interessare poi il delta dell'Irrawaddy, quindi la capitale Yangon, per poi spostarsi verso il confine con la Thailandia nordoccidentale.

Investendola per diverse ore con raffiche fino a oltre 200 km/h sabato mattina, il ciclone Nardis ha devastato la ex capitale Yangon, riempiendo le strade di detriti, risultato dello sradicamento di molti alberi e del danneggiamento di moltissimi edifici.

Le poche testimonianze parlano di Yangon come di una città devastata da una guerra, con alberi abbattuti sulle strade, linee elettriche abbattute, ospedali devastati, migliaia di abitazioni distrutte o seriamente danneggiate, mancanza di acqua potabile, collasso della rete telefonica e di Internet. Ancora domenica mattina la città era senza luce e acqua. Fonti non ufficiali dell'azienda deputata alla distribuzione dell'energia elettrica non indicavano ancora alcuna certezza riguardo ai tempi di ripristino del servizio. Chiuso anche l'aeroporto internazionale, con tutti i voli dirottati su Mandalay, seconda città del paese. Non si prevede l'apertura dell'aeroporto di Yangon prima di lunedì.

Le devastazioni subite dai tetti degli edifici a Yangon fanno supporre danni estremamente gravi nelle aree fittamente abitate del delta dell'Irrawaddy, dove la maggior parte delle abitazioni sono (o erano? si stima che almeno 20.000 abitazioni siano andate distrutte) tutt'altro che robuste.

Gli esperti di disastri delle Nazioni Unite confermano che ci vorranno giorni ad avere un'idea sufficientemente precisa dell'entità dei danni e delle perdite umane (al momento si parla di 350 morti), in un paese sottoposto dal 1962 ad un regime militare severissimo e molto rigido nel controllo delle fonti d'informazione. Anche ai tempi dello tsunami del 26 dicembre 2004 il Myanmar fu il paese dal quale le notizie filtravano con maggiore difficoltà.

Asserragliati nei palazzi del potere a Naypydaw, la nuova capitale, 380 km a nord di Yangon, i generali al governo non sono rimasti coinvolti dal peggio della tempesta. A una prima offerta di assistenza umanitaria da parte dell'UNOCHA (United Nations Office Coordination Humanitarian Affairs), i generali non hanno risposto, sostanzialmente rifiutando aiuti esterni.

Si diceva dell'incertezza sull'entità delle perdite umane. Esse sono state presumibilmente alte soprattutto nelle aree devastate della costa e del delta dell'Irrawaddy. I meteorologi avevano previsto, nell'area costiera interessata dal landfall, una "storm surge" fino 3,5 metri, certamente distruttiva. Oltre alle vittime, difficile anche la conta dei senzatetto, si parla di oltre 90.000.

C'è infine il timore è che la catastrofe possa bloccare il referendum per la modifica della Costituzione, in programma sabato prossimo, che dovrebbe avviare una sorta di "road map" verso la convocazione di elezioni libere nel 2010 e mettere fine alla dittatura militare.

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