giovedì, febbraio 04, 2010

Oltre un milione di lavoratori stranieri in Thailandia rischiano la deportazione.

Fonte: http://it.peacereporter.net

Stretti tra un Paese ospitante diventato irremovibile sui documenti necessari e una patria che non muove un dito per venire loro incontro, quasi un milione e mezzo di migranti birmani in Thailandia sono a rischio di deportazione nei prossimi mesi. E al momento, se nessuno dei due Stati accetterà dei compromessi, la soluzione del problema appare un rompicapo quasi impossibile.

Secondo le norme di Bangkok, che ha appena esteso di un mese la data massima, entro il 28 febbraio gli 1,3 milioni di immigrati birmani - oltre a circa 200mila lavoratori provenienti da Laos e Cambogia - dovranno esibire un certificato che provi la loro nazionalità, se intendono rinnovare il loro permesso di lavoro. Ma se le autorità di Vientiane e di Phnom Penh si sono mosse per tempo, inviando in Thailandia funzionari che hanno aiutato i migranti a compilare i moduli necessari, la giunta militare birmana si è limitata a istituire uffici appositi solamente presso tre valichi al confine, e oltre non intende andare.

Per l'esercito di lavoratori birmani in Thailandia, si tratta di un sacrificio e di un pericolo allo stesso tempo. Come i messicani negli Stati Uniti, queste persone svolgono i lavori più umili e contemporaneamente necessari al funzionamento del Paese: manovali, braccianti, donne delle pulizie. Con paghe che raramente superano i 100 euro, per loro un viaggio di andata e ritorno al confine è già un salasso. Le organizzazioni per i diritti umani - calcolando i costi per i documenti necessari, qualche occasionale bustarella o l'appoggio di un'apposita agenzia - hanno stimato in due mesi di salario il prezzo che questi lavoratori dovrebbero fronteggiare per mettersi in regola.

Inoltre, molti migranti temono per la loro incolumità e quella delle loro famiglie. La gran parte dei birmani in Thailandia appartengono all'etnia Karen, Mon o Shan, e sono fuggiti dalla Birmania per la povertà e per le persecuzioni dei militari. E' tutto da vedere se gli ufficiali birmani al confine forniranno la collaborazione necessaria. Ma soprattutto, dati gli abusi subiti in passato, gli immigrati birmani temono ripercussioni per le loro famiglie, rimaste in patria, se dovessero uscire allo scoperto.

Il 19 gennaio, 36 organizzazioni per i diritti umani hanno scritto una lettera aperta al premier thailandese Abhisit Vejjajiva, chiedendogli di intervenire per scongiurare la deportazione di massa dei migranti. Le autorità di Bangkok hanno prolungato di due anni la data di scadenza per la regolarizzazione, fino al febbraio 2012; ma il rischio di essere espulsi resta, se non si presenta domanda entro questo 28 febbraio, iniziando un procedimento che potrebbe durare fino a due anni. E per evitare di "perdere la faccia" - concetto chiave da queste parti - rimangiandosi le norme già fissate, è difficile che Bangkok o Naypiydaw facciano un passo indietro.

Alessandro Ursic

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