sabato, luglio 04, 2009

Il Mekong e la sua battaglia

di Paola Desai
Fonte: http://www.ilmanifesto.it

Una petizione con oltre 15mila firme non è piccola cosa, per gli attivisti della campagna «Salvare il Mekong». Perché almeno diecimila di quelle firme sono state raccolte nei sei paesi rivieraschi del fiume che nasce sull'altopiano del Tibet, in Cina, e poi scorre attraverso lo yunnan prima di tagliare da nord a sud la penisola indocinese: il Mekong costeggia o taglia Cina, Birmania, Laos, Thailandia, Cambogia e infine il Vietnam.
La petizione fa appello proprio a questi governi ad rinunciare ai progetti per costruire nuovi impianti idroelettrici (quindi dighe) lungo il corso principale del fiume. Scritta in sette lingue e corredata da firme, la petizione è stata consegnata personalmente il 18 giugno al primo ministro della Thailandia, H.E Abhisit Vejjajiva, a Bangkok, e inviata ai capi degli altri governi della regione. E' rivolta poi in particolare ai governo di Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam: a loro chiede di lasciar scorrere liberamente il Mekong, e cercare altre opzioni meno devastanti per produrre energia elettrica.
In effetti la campagna si concentra sui paesi del basso Mekong. Nella parte alta del fiume la Cina ha già costruito tre grandi dighe sul corso principale del fiume e ne ha 5 in progetto: mentre nei paesi a valle per ora si tratta degli affluenti, dove sono ormai in funzione decine di dighe con centrali idroelettriche. Queste grandi opere hanno costretto intere comunità locali a sfollare, sottratto loro terra coltivabile, e soprattutto distrutto il ciclo di vita del pesce: il Mekong e i suoi affluenti sono popolati da specie di pesci migranti, che risalgono la corrente in certe stagioni per riprodursi tra gli scogli e le rapide. Sulle piene dei fiumi è scandita la vita rurale dell'intera regione (e l'80% della popolazione dei quattro paesi è rurale), e il pesce rappresenta il 60% delle proteine animali consumate dagli abitanti dei quattro paesi, l'80% per la popolazione rurale, ed è la base dell'economia locale, per l'autoconsumo e per l'export. Si capisce quindi che le dighe abbiano suscitato polemiche e veri e propri movimenti di protesta, in particolare in Thailandia dove la società civile organizzata ha più spazio (il movimento contro la diga di Pak Mun, alla fine degli anni '90 ha fatto scuola). Non per caso, le firme raccolte in calce a quella petizione vengano da comunità di pescatori e agricoltori che vivono lungo le rive del mekong o dei suoi affluebnti, oltre che da studenti, monaci, intellettuali, gente di città. Anche perché ora non si tratta più solo degli affluenti: a metà del 2006 i governi di Cambogia, Laos e Thailandia hanno avviato i preliminari per ben 11 nuovi progetti idroelettrici, questa volta sul corso del Mekong stesso. Vi sono coinvolte aziende di Thailandia, Malaysia, Vietnam e Cina; le nuove dighe sorgeranno soprattutto nel Laos settentrionale, dove il Mekong scorre tra gole bellissime. O nel Laos meridionale presso le cascate di Khone, un paesaggio naturale suggestivo - e una delle più importanti vie migratorie del pesce. Tutto questo ha messo in allarme una coalizione di ambientalisti e attivisti sociali, della regione e internazionali, che ha lanciato la campagna «Save the Mekong»: dicono che la sopravvivenza del fiume, e della sua popolazione umana, è minacciata.
Condividi questo articolo sui vari Network
Bookmark and Share