mercoledì, settembre 30, 2009

Aids, il vaccino fa un passo avanti.

Ci tengo veramente tanto a darvi queste buone notizie, perchè in un paese come la Thailandia si muore ancora tanto per AIDS. Voglio crederci veramente, anche se qualche giornale Italiano ha già cominciato a mandare delle smentite vi terrò informati sull'argomento sperando sempre in meglio.

Martino M. Rawai-Phuket

Fonte: http://www.humanitasalute.it

Un vaccino sperimentale, presentato da un gruppo di ricercatori thailandesi e medici militari americani, riduce il rischio del 31% di contrarre l'Aids. Ne parliamo con il dott. Domenico Mavilio, immunologo clinico di Humanitas.

mavillioPer la prima volta un vaccino sperimentale ha ridotto il rischio di contrarre l'Aids. Lo hanno annunciato alcuni ricercatori thailandesi nel corso di una conferenza stampa a Bangkok assieme a ufficiali medici militari americani. Secondo quanto riferito ai media, il vaccino ridurrebbe di più del 31% il rischio di infezione da virus Hiv. Il risultato deriva da un test effettuato in Thailandia su un campione di 16 mila volontari, il più grande mai utilizzato nella sperimentazione di un farmaco di questo genere.

Lo studio si è basato sulla combinazione di due vaccini, il primo dei quali aumenta l'immunità agli attacchi dell'Hiv e il secondo rafforza la risposta dell'organismo. La ricerca ha testato la combinazione dei due preparati in uomini e donne thailandesi Hiv negativi, di età compresa fra i 18 e 30 anni e con rischio di contagio nella media. A metà del campione è stata somministrata la combinazione dei due vaccini per sei mesi, agli altri solo placebo. Nessuno ha però saputo cosa veniva loro somministrato fino alla fine del test.

I partecipanti al test sono stati seguiti per tre anni. Sono state registrate 51 nuove infezioni tra le 8.197 persone cui sono stati somministrati i vaccini e 74 tra le 8.198 che hanno invece ricevuto il placebo. Di qui la conclusione che il rischio si riduce del 31% in chi effettua la vaccinazione.

"Questi risultati aprono nuove prospettive per la ricerca scientifica - commenta il dott. Domenico Mavilio, immunologo clinico di Humanitas -. E' infatti la prima volta che si ottiene una percentuale così alta di riduzione del rischio".

Il risultato, quasi del tutto inatteso, ha stupito gli stessi ricercatori, che dicono di non sapersi spiegare il motivo per cui la combinazione di vaccini funzioni. Un ulteriore fattore di confusione è il fatto che le persone vaccinate e che si sono infettate ora hanno nel sangue la stessa concentrazione di virus delle persone infettate senza essersi vaccinate, e hanno subito gli stessi danni al sistema immunitario. Ciò significa che il vaccino sembra aiutare a prevenire le infezioni, ma non ha effetti sul virus una volta che questo ha colpito.

"Dobbiamo proseguire su questa strada e sulla prevenzione - spiega il dott. Mavilio -, sono ancora molti i decessi causati dall'Aids. Cito le stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanità del 2007: i casi stimati di persone infettate nel mondo sono 33.2 milioni con 2,5 milioni di nuove infezioni ogni anno e 2,1 milioni di morti. Solo l'Africa subsahariana rappresenta il 68% di casi del mondo e il 76% di morti. L'America il 12-14%, l'Asia il 10-14% (ma i dati probabilmente sono sottostimati se si considera che per nazioni come la Cina e l'India, che da sole hanno circa 2,5 miliardi di abitanti, i dati epidemiologici sono incompleti) e l'Europa 5-7%. In alcuni luoghi, insomma, l'Aids è ancora un'emergenza sanitaria. Nei paesi occidentali e in Australia i decessi per Aids sono relativamente pochi, ma questo non deve far assolutamente pensare che abbiamo sconfitto la malattia.

E' necessario inoltre investire ancora molto per approfondire la nostra conoscenza sulla fisiopatologia dell'infezione da HIV-1 in modo da poter capire quali siano i meccanismi che permettono al virus di debilitare il nostro sistema immunitario sino al punto da permettere ad una banale infezione virale o batterica di mettere a serio rischio la vita del paziente. Infatti, la gran parte dei vaccini contro l'infezione da HIV-1 (sperimentati o in fase di sperimentazione) si basa su ipotesi patogenetiche e non su meccanismi dimostrati. Questo ha portato allo sviluppo di composti che non hanno mai purtroppo confermato le ipotesi di partenza, evidenziando la natura "empirica" della moderna vaccinologia contro il virus HIV-1. L'impostazione sui cui si sono basati i più importanti vaccini sviluppati nel secolo scorso non sembra funzionare contro questa temibile infezione".

Il dott. Domenico Mavilio, recentemente trasferitosi in Humanitas dal National Institutes of Health (Bethesda, Maryland, USA) da anni è impegnato nello studio della fisiopatologia dell'infezione da HIV-1. Con il gruppo di ricercatori che coordina, il dott. Mavilio ha pubblicato, ad agosto 2009, due articoli sulle riviste scientifiche AIDS e Blood in cui sono descritte due molecole, Siglec-7 ed NKG2C, coinvolte nelle alterazioni patologiche del sistema immunitario innato in risposta agli alti livelli di replicazione virale. "Questi studi - spiega - avanzano il nostro livello di conoscenza sulla fisiopatologia della malattia a livello sia clinico sia sperimentale. Siglec-7 ed NKG2C sono due recettori, strutture presenti sulla superficie delle cellule cui le chemochine - 'parole' dell'infiammazione che hanno l'importante compito di richiamare i globuli bianchi che difendono il nostro organismo dall'aggressione di agenti esterni - si legano per trasmettere i propri messaggi. La caratterizzazione fenotipica di questi due recettori di membrana espressi sulle cellule Natural Killer - cellule del sistema immunitario, particolarmente importanti nel riconoscimento e distruzione di cellule tumorali e infette da virus - è in grado da una parte di fornire una stadiazione clinica precisa dello stadio della malattia e della sua progressione, e dall'altra di aiutarci a scoprire nuovi importanti aspetti per comprendere le interazioni del virus con le cellule del sistema immunitario. La strada della ricerca sui meccanismi patogenetici rappresenta allo stato odierno la strategia migliore al fine di sviluppare nuove terapie per sconfiggere quella che è considerata la ‘peste dell'era moderna'".


A cura di Alessio Pecollo
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