"Ci fate morire"
BANGKOK
Il confine tra una Bangkok asciutta e la Thailandia sott’acqua da settimane passa dalla periferia Nord della capitale. Sulla riva occidentale del canale Prapa, che scorre verso la città ricolmo fino all’orlo degli argini rinforzati coi sacchi di sabbia, la vita scorre normale nelle strade polverose. Dal lato orientale, nel distretto di Bang Khen, inizia un lago torbido e puzzolente. Alto fino alle ginocchia, alla vita, al petto o alla testa a seconda delle zone.
Mentre il centro di Bangkok è uscito finora indenne dalle inondazioni che da luglio a oggi hanno causato almeno 427 morti, la fascia periferica della metropoli da dodici milioni di abitanti sta vivendo ora la stessa esperienza provata prima dalle province centrali, diventate un enorme catino l’area allagata è estesa quanto il Lazio - per un sistema fluviale straripato nei campi coltivati, nelle aree industriali, nelle case, persino nell’aeroporto interno Don Meuang. Nelle immagini dal satellite la capitale sembra un'isola, circondata dalle acque nella loro discesa verso il Golfo di Thailandia. Una ventina di chilometri a Nord dal centro, da dieci giorni è come se il film Waterworld di Kevin Costner fosse diventato realtà.
L’acqua ha ricoperto le strade ed è penetrata nelle abitazioni, come in 26 province su 77. Qualsiasi cavalcavia è pieno di automobili lasciate lì, anche su due file, col numero di cellulare sul parabrezza. Gli abitanti si spostano a bordo di barche, o traghettati dai camion dell’esercito e dai pochi pick-up che si avventurano nel guado. I centri per gli evacuati ospitano 110 mila persone, ma non contano chi è ospite di amici o parenti. Altri si adattano: «Dormo su quei materassi impilati sul tavolo», indica Somchai Khonmun, 34 anni, muovendosi a petto nudo in un'abitazione sommersa fino alla vita, con le luci accese e un ventilatore attaccato a una presa di corrente a un palmo dall’acqua: un enorme rischio ma corso da tanti, dato che 50 persone sono morte fulminate così.
I pericoli vengono anche da centinaia di coccodrilli e serpenti liberi di sguazzare, mentre nugoli di zanzare hanno trovato il loro habitat ideale. Si teme che si diffondano malattie: l'acqua è ormai marrone, oleosa, piena di immondizia. E non se ne va. Solo il fatalismo dei thailandesi e la loro capacità di adattarsi alle difficoltà rendono più leggera una vita del genere: molti bambini giocano nell’acqua putrida, gli adulti son capaci di scherzare pur sapendo che la loro casa sarà da buttare. Ma vedendo Bangkok all’asciutto, il risentimento verso le autorità si è infiltrato ovunque, come l’acqua.
Lunedì, esasperata da settimane di allagamenti, una comunità della periferia orientale ha aperto di forza - dopo alcuni tafferugli con la polizia - una chiusa che faceva da barriera per la capitale, contribuendo a far ristagnare il lago nella fascia esterna. Anche nelle province si sono verificati scontri tra diverse comunità per il controllo degli argini. Dato che la capitale contribuisce al Pil per il 41 per cento, si può capire la scelta del governo di Yingluck Shinawatra, di fronte a danni già colossali.
Sono stati sommersi 1,75 milioni di ettari di terra coltivata, distruggendo un quarto del raccolto del riso e uccidendo 13 milioni di animali da allevamento. Diecimila fabbriche - incluse quelle dei grandi marchi giapponesi dell’automobilistica e dell’elettronica - sono sott’acqua e potrebbero rimanere fuori uso per tre mesi, ha detto Yingluck; oltre 650 mila persone sono senza lavoro. La Banca di Thailandia prevede danni per oltre 20 miliardi di euro, e un 1,5 per cento di crescita in meno. E non è ancora finita. Dovrà finire in mare un volume d'acqua pari a 480 mila piscine olimpiche; o 50 milioni di balenottere azzurre, come spiega un video informativo che in Thailandia ha spopolato.
Il livello dell’acqua sta appena adesso scendendo nelle province allagate a fine settembre, ma per la periferia di Bangkok potrebbero prospettarsi altre settimane di passione: l'acqua avanza in nuove aree a nord e anche a ovest del fiume Chao Praya, cingendo la capitale in una morsa. E nonostante le rassicurazioni, non è per nulla scontato che non arrivi anche lì.
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