giovedì, luglio 28, 2011

Le mie Riflessioni sono MIE e non valgono niente!

Pinocchio, invece di diventare un ragazzo, parte di nascosto col suo amico Lucignolo per il Paese dei Balocchi.
"Quanti Italiani sono pronti a partire per Phuket sperando di non diventare mai adulti e di vevire nel paese dei balocchi?"

Alcune mie riflessioni nate da un “discorso” su Facebook, sono solo mie riflessioni che non valgono niente!
Si avete capito bene non valgono niente perchè sono mie!
Spesso mi sento criticare di essere “cattivo” e incazzato con gli indigeni di questa isola, ma quando mai? Non sono incazzato con loro ci mancherebbe altro... Sono ospite qui, mi incazzo con quelli che vogliono AVERE RAGIONE dando una visione stereotipata del “mondo Phuket”.
Mi incazzo con Italiano che viene in Ferie da Anni e mi fa la morale, mi spiega, mi dice come sono i Thailandesi.
Si amico dimmelo pure come sono i Thai per te che ci vieni in ferie (anche 6mesi anno sono ferie), ma io ci vivo e lavoro ho un contatto diverso con loro, quindi la TUA realtà non è la MIA!
Poi ci sono anche un gruppo di Expat che sto sul caXXo perchè dico cose che non dovrei dire, lo “sappiamo noi del mestiere” ma non bisogna dirlo che altrimenti poi ci perdiamo il “cliente”...
Ma al limite lo perdo io il cliente, attenzione che cari Expat se io dico la mia versione molto critica e voi dite la vostra “modello fiaba” a chi crede secondo voi il possibile cliente? A VOI!!!
Quindi non massacratemi i maroni con ste menate ma tu parli male di qui, dici cacca di la, etc... Vi faccio un favore :)
Comunque la mia bacheca è sempre aperta a tutti su Facebook, discutiamone qui:

http://www.facebook.com/amici.di.phuket


Tutto nasce da qui: http://www.facebook.com/amici.di.phuket/posts/213144568733389


Ciao Ragazzi,

su “buoni” non litighiamo tra di noi...

Conosco Giorgio, persona che stimo molto, sicuramente preparata nel suo campo lavorativo, quello che scrive in parte lo condivido specialmente quando dice che lavorare qui non è come “farci le ferie”.
Problema a mio avviso è la diversità mentale, sociale, tra noi Italiani ed i Thai! Chi vuole vivere qui (intendo Phuket), lavorare, interagire veramente deve avere i coglioni quadrati!
Bisogna andare oltre le solite VACCATE del tipo: Voglio vivere in paradiso, mettermi le ciabatte tutto anno, dimenticarmi lo stress del lavoro in Italy, andare con donne che non se la tirano, etc...
Ragazzi queste sono VACCATE, sogni da svendere agli stolti... Mai detto Giorgio che tutti gli Expat sono coglioni, ma uno che mi dice voglio vivere a Phuket perchè mi metto le ciabatte tutto anno, c'è caldo, e non c'è lo stress che c'è in Italia questo non ha capito un cazzo!
Si perchè se vivi e lavori qui di Stress te ne viene il triplo, motivi sono proprio che i Thai stessi sono iper stressati in Phuket! Corrono tutti dietro ultimo modello di cellulare, al motorino nuovo, al pick-up, pensano che noi Farang siamo tutti ricchi e praticamente nessuno vuole lavorare ma tutti pretendono! Non c'è un giusto rapporto tra dare e ricevere!!!!
Ma come cazzo fai a non stressarti in un posto simile? Dove tutti vogliono, dove si monetizza tutto perfino aria che respiri? Dove da Italiano che è abituato a lavorare si cerca di dare ottimi servizi arriva il Thai fannullone che ubriaco “ti da buca”, oppure ti senti dire MAI PEN RAI quando c'è un problema!
Mai per Rai? Ma vaffanc.. sta storia del mai pen Rai la usano solo quando gli pare a loro, prova ad avere un debito con un Thai e dire MAI PEN RAI e vedi cosa succede!

Giorgio problema è che Martino ha i coglioni pieni di gente che pretende ed in cambio non da niente o poco... Sono sogni di cartapesta il “mollo tutto e scappo a vivere nel paradiso Phuket”, oppure realtà se hai una rendita, vivi da TURISTA, interagisci al minimo con gli indigeni, e per finire se hai la tua moglie Farang fai un affarone!!!
Tutte troie le Thai? Mai detto una cosa simile... Anzi, provate a dare della zoccola ad una Thai in Bangla c'è caso che vi arrestino!
Mai detto per carità, ma sinceramente BASTA CON LE CAZZATE LA MIA E' DIVERSA...
Diversa da cosa? Non è una Thai? Non monetizza Tutto? Ragiona come un Italiana?
Che cazzo vuol dire è diversa?
Che non lavora al BAR pur trovandosi a Patong quindi è una ragazza rispettabile da sposare, affidabile da intestargli casa e lavoro?
Stiamo scherzando o cosa, quando mai in Italia alla prima che troviamo in discoteca apriamo un negozio ed intestiamo una casa dopo qualche mese!!
Ma dai siamo seri per favore...
Vivo ormai da anni con i Thai, ci parlo tutto il giorno nella loro lingua, il problema è che sono tutte THAI quindi culturalmente e socialmente DIVERSE dalle nostre donne.
Problema è che DANNO POCO e chiedono MOLTO in cambio, problema è che una Thai che lavora nel Sex Business a mio avviso è meglio, molto meglio di “quella brava laureata”.
Motivo è che la professionista alla fine se paghi da un servizio, esiste di fondo una specie di contratto anche se non scritto, la BRAVA vive la vita come una soap opera Thai di quelle che vediamo in TV ogni giorno!!
La Thai BRAVA sta bene con il THAI BRAVO, sono una coppia perfetta perchè vivono le stesse emozioni, hanno la stessa cultura del MAI PEN RAI sperando sempre di arrivare ad avere auto nuova, 4-5Baht di oro addosso, la casa, etc... Vivono di apparenze peggio che le Italiane le Thai, per il triste discorso del non perdere la faccia...
Se un Farang è pronto a sopportare ste rotture di coglioni di differenze culturali, se è pronto a lavorare 20ore al giorno con l'incertezza del caso, se è pronto a mettersi la vasellina nel culo perchè prima o poi a tutti capita in questo paese di prenderlo in quel posto, se è veramente determinato OK c'è modo di venire qui e combinare qualcosa...
Ma per favore BASTA con le minchiate: VUOI METTERE VIVERE IN CIABATTE TUTTO ANNO, NIENTE STRESS, DONNE FACILI, ETC...

La vita non è una vacanza, e Phuket è un isola PER LE VACANZE!
Quanti di voi andrebbero a LAVORARE nel paese dei BALOCCHI? Vi ricordo che Pinocchio parte con lucignolo per il paese dei balocchi e la storia la conosciamo tutti bene come va a finire...

martedì, luglio 26, 2011

Tre elicotteri militari caduti nel giro di otto giorni...

Tre elicotteri militari caduti nel giro di otto giorni, e una crescente convinzione: è opera di qualche spirito cattivo. Il problema è che così non paga nessuno

Nei primi due casi la colpa è probabilmente stata del maltempo, e nel terzo il motivo sarebbe un guasto a un rotore: ufficialmente, almeno. L’incredibile sequenza di tre elicotteri militari thailandesi caduti nel giro di otto giorni nella stessa zona al confine con la Birmania - per un totale di 17 morti - viene seguita con trepidazione nel Paese. E dopo l’ultimo incidente, avvenuto domenica 24 luglio, quello che prima si sussurrava ora è diventata quasi una linea di giustificazione ufficiosa: è chiaro che all’opera ci sono poteri sovrannaturali.

Pensare al malocchio è lecito, data la concatenazione di eventi. Il primo elicottero è caduto sabato 16 luglio, causando cinque morti. Tre giorni dopo, un Black Hawk impegnato nelle operazioni di recupero di quelle vittime è a sua volta precipitato con nove persone a bordo, tra cui un cameraman. Cinque giorni più tardi, un terzo elicottero - anche questo impegnato nel recupero dei morti precedenti - è caduto poco dopo il decollo, provocando altre tre vittime. Il tutto nella stessa giungla collinosa alla frontiera, in quello che ormai è considerato una specie di “triangolo delle Bermude” thailandese.

In un Paese in cui le forze armate mantengono un’influenza enorme, e dove le indagini per risolvere un caso spinoso regolarmente si prolungano e finiscono per non produrre alcun risultato certo, è probabile che alla fine - come al solito in Thailandia - nessuno in posizione di responsabilità pagherà per l’accaduto. Dall’altra parte, al momento si fanno solo ipotesi che spiegano poco: l’errore umano sembra essere escluso, appunto il maltempo e un cedimento strutturale vengono indicati al momento come le probabili cause. E magari sarà pure vero.

Inevitabilmente, date le diffusissime credenze superstiziose in Thailandia (come in altri Paesi asiatici), in molti pensano a qualche congiura degli spiriti. Dopotutto, qui si consulta l’astrologo per qualsiasi appuntamento importante, la gente custodisce amuleti benedetti dai vari monaci, film o serie tv prima o poi contengono una scena con un fantasma. Da questo articolo del Bangkok Post emerge come gli stessi piloti militari thailandesi ora siano convinti che tra quelle montagne covi qualcosa; come da copione, è spuntato un indovino che aveva previsto il terzo incidente. “Ricorrere all’animismo e al misticismo è quel che noi thailandesi facciamo meglio quando non riusciamo a razionalizzare cosa cavolo sta succedendo”, ha scritto su Twitter un thailandese che - con decenni di esperienza all'estero - spesso commenta con lucidità gli eventi nazionali.

Il problema è che, applicata ad eventi in cui forse qualcuno che ha delle colpe c’è, la superstizione regnante produce un effetto ben poco spirituale: incolpando la sfera sovrannaturale, si assolvono gli umani. E quindi chi è in posizione di comando può farla franca, promettendo di far luce sul mistero per allungare i tempi, mentre invece il tempo fa pian piano dimenticare tutto, a parte un vago coinvolgimento di qualche entità superiore. Mentre al momento la flotta di elicotteri militari thailandesi è ferma per ispezioni, tutto fa pensare che - dopo le alcune benedizioni di rito e parole retoriche - alla fine la tripla tragedia passerà alla storia come una malvagia opera degli spiriti.

Fonte: http://www.lastampa.it

venerdì, luglio 15, 2011

L'elite thailandese non si rassegna alla presa di potere dei poveri...

L'elite thailandese considera inferiore il popolo delle campagne, e non si capacita della vittoria elettorale del blocco che lo rappresenta

Era inevitabile: la sequenza del film “La caduta” in cui il magistrale Hitler di Bruno Ganz si lancia in una sfuriata - già utilizzato in varie parodie - è ora stato reinterpretato in chiave thailandese, a simboleggiare l’ipotetica reazione dell’esercito e dell’establishment in generale alla notizia del trionfo di Yingluck Shinawatra nelle elezioni del 3 luglio.

Come tutte le prese in giro, esagera e generalizza. Ma coglie nel segno l’angoscia delle classi medio-alte thailandesi: la loro opposizione feroce a Thaksin Shinawatra, l’ex premier deposto da un colpo di stato nel 2006, non deriva solo dalle accuse di essere un diavolo corruttore che vuole segretamente instaurare una repubblica. Non è neanche il timore - come parodizzato nel video - di perdere i privilegi acquisiti. E’ più un misto di orgoglio, mitizzate idee sulla “diversità” della Thailandia e soprattutto una viscerale reazione di fastidio nel vedere che le spesso ridicolizzate classi rurali del nord e del nord-est fanno ora valere il loro peso demografico votando in massa il candidato disprezzato dall’elite.

Le attuali divisioni politiche in Thailandia sono il prodotto di diversi fattori e non mancano di contraddizioni: una su tutte, quella che il popolo delle “camicie rosse” riesca a identificarsi con uno degli uomini più ricchi in Thailandia. Trattare tutte le sfumature richiederebbe ben più di un articolo su un blog. Prendendo spunto dal video-parodia, qui mi concentrerò solo sulle dimensioni parallele in cui vivono l’elite della capitale e il popolino in particolare delle campagne, conscio che il rischio delle generalizzazioni si nasconde dietro ogni affermazione.

Politicamente, la Thailandia è estremamente centralizzata: non ci sono regioni, i governatori provinciali sono nominati da Bangkok, un re dallo status semi-divino ufficialmente al di sopra della politica assicura il carattere “virtuoso” del sistema di governo. La democrazia è sempre stata fragile, con governi civili alternati a colpi di stato (18 dal 1932) di forze armate potenti e burocratizzate, una popolazione tradizionalmente apatica in politica e un’endemica pratica di compravendita di voti specie nelle province. In un Paese dalle stratificazioni sociali radicate, con una lingua che rispecchia l’importanza delle gerarchie, la politica è sempre rimasta in mano all’elite della capitale.

Finché Thaksin, uno squalo degli affari cresciuto nel nord del Paese da una famiglia fuori dalla tradizionale elite e arricchitosi enormemente negli anni Novanta, è sceso in politica capendo prima di tutti che l’enorme bacino elettorale del popoloso nord del Paese era un tesoro mai sfruttato. Forte di una maggioranza schiacciante, nei suoi cinque anni al governo ha introdotto misure come un sistema sanitario quasi gratuito e un programma di prestiti ai villaggi, che gli hanno conquistato l’amore delle classi rurali che l’elite di Bangkok aveva mai considerato. Misure benefiche per alcuni, populistiche per altri: sono spesso schieramenti senza scala di grigi. L’effetto, in un Paese in cui la modernità ha contribuito a scardinare la tradizionale struttura sociale, è stato quello di rendere un’enorme fetta di popolazione consapevole di cosa vuole o no dalla politica: non è un caso che da dieci anni il blocco filo-Thaksin abbia stravinto ogni elezione.

Il problema è il disprezzo della Bangkok-bene verso i contadini dell’Isaan (il nord-est rurale): sempre generalizzando, non dissimile dalla mentalità che un alto borghese di Torino o Milano poteva avere verso i “terroni” negli anni Sessanta. Gli stereotipi sul loro essere gretti, ignoranti, “bufali” di poco intelletto si incontrano spesso. Giornali e tv, in mano all’elite, non si preoccupano di andare a sentire le loro voci. L’anno scorso, quando le “camicie rosse” pro-Thaksin arrivarono a decine di migliaia dalle province, il Bangkok Post si tradì con una didascalia in cui parlava di “orde rosse”. I roghi appiccati nel maggio 2010 a una trentina di edifici - tra cui il tempio dello shopping Central World - durante la ritirata di fronte all’avanzata dell’esercito, per il Bangkokiano medio, hanno ovviamente contribuito a rendere ancora più negativa l’immagine dei “barbari” calati sulla capitale.

Recentemente, ho avuto modo di assistere a una scena emblematica. Tali sentimenti sono stati espressi in modo netto - e di fronte a una trentina di persone, in un’animata discussione di politica a una cena - da un aristocratico thailandese che ha trascorso gran parte della sua vita in Europa. Ma la conoscenza del mondo e la sua innegabile cultura non gli hanno impedito di uscirsene con un “Non è possibile che il voto di una persona istruita conti come quello di uno che non ha studiato”, dopo aver girato attorno al problema parlando del “populismo” di Thaksin e del problema della compravendita dei voti (che evidentemente non era un problema quando, ben più diffusa, fissava solo il potere negoziale dei vari partiti in un sistema che non metteva a rischio l’ordine costituito). La convinzione e al tempo stesso la frustrazione con cui quel signore ha esposto il suo pensiero sono la perfetta immagine di un’elite che non si capacita di quanto il Paese le sia sfuggito di mano.

Il fatto è che non si tratta di un pensiero isolato. L’idea che i poveri dell’Isaan (e quindi gli elettori di Thaksin) non abbiano le informazioni necessarie per votare e si facciano abbindolare da qualche banconota è profondamente radicata tra l’alta borghesia della capitale. Le “camicie gialle” che nel 2008 occuparono i due aeroporti di Bangkok proponevano apertamente una “nuova politica” con un Parlamento nominato dall’alto per il 70 per cento: alle elezioni hanno fatto campagna intorno al concetto “vota no”, con diffusissimi poster in cui i deputati venivano raffigurati come animali, tutti con connotazioni negative.

Dopo la frattura creatasi tra le “camicie gialle” e i Democratici dell’ex premier Abhisit Vejjajiva, che dopotutto contribuirono a portare al potere con quelle proteste di tre anni fa, tale campagna rifletteva oggi più il crescente qualunquismo dei “gialli”, sempre più ridotti a estremistica frangia con un seguito in calo. Ma il concetto resta. E molti degli elettori di Abhisit nella capitale magari non hanno il coraggio di esporre pubblicamente le loro idee sul suffragio universale: ma sotto sotto, non avrebbero niente da ridire se il loro voto contasse come quello di cinque contadini. Ecco allora che non possono che contare sull’appoggio dei militari, o di un sistema giudiziario indipendente solo sulla carta, per rovesciare il risultato del voto: ed è lì che la satira sull’ipotetico Hitler thailandese fa centro.

Link: http://www.lastampa.it/

martedì, luglio 12, 2011

Speranze e rischi dopo la vittoria della Shinawatra

Le elezioni legislative tenutesi in Thailandia lo scorso 3 luglio hanno sancito, come previsto, la netta vittoria di Yingluck Shinawatra, sorella dell’ex premier Thaksin Shinawatra in esilio volontario dal 2008 e destinata a diventare la prima donna nella storia a guidare il paese.

L’appuntamento elettorale è giunto al termine di un periodo particolarmente turbolento per la Thailandia, sull’orlo della guerra civile nella primavera scorsa allorché le “camicie rosse”, sostenitrici di Thaksin ed espressione della classe rurale del nord-est, sono scese in piazza bloccando la capitale e dando vita a scontri prolungati che sono sfociati in 88 morti e oltre 2000 feriti e terminati solo con la promessa di nuove elezioni.

L’affermazione del Pheu Thai Party (Partito per i Thailandesi), che ha ottenuto 265 seggi su 500, superando il Partito Democratico del Primo Ministro uscente Abhisit Vejjajiva fermo a 159, ha essenzialmente due significati. In primis conferma il forte sostegno popolare di Thaksin, che nell’ultimo decennio ha consentito a quest’ultimo o al partito da lui sostenuto di imporsi ripetutamente nelle tornate elettorali del 2001, 2005, 2007 e 2011. In secondo luogo evidenzia la marcata frattura che caratterizza la società thailandese e che si riflette nella competizione politica. Nel corso del quadriennio 2001-2005 le politiche populiste di Thaksin (riforma sanitaria, sussidi, prestiti agevolati, aumento del salario minimo) portarono sollievo alla popolazione prevalentemente rurale dell’area nordorientale della Thailandia, paese in cui l’agricoltura assorbe oltre il 40% della forza lavoro, il lavoro minorile sfiora il 10% e circa il 27% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno (a parità di potere d’acquisto).

Tali politiche favorirono effettivamente una riduzione della sperequazione del reddito e permisero di abbattere la quota di thailandesi che vivevano con meno di 2 dollari al giorno dal 21% del 2000 al 12% del 2004. La pronta reazione all’indomani dello tsunami del 2004 che causò oltre cinquemila vittime, proiettò poi Thaksin alla rielezione del 2005 e ne consolidò l’influenza.

La situazione attuale thailandese origina principalmente dalla gestione del potere da parte dell’ex premier: in contrapposizione ai tradizionali equilibri del paese egli sistematicamente procedette alla marginalizzazione degli avversari giungendo a minacciare un grado di potere e influenza riservato esclusivamente al sovrano. In reazione a tale accentramento divampò il movimento delle “camicie gialle” filo-monarchiche e nel 2006 l’esercito tramite un colpo di stato incruento mise fine al secondo governo Thaksin.

La frattura, dunque, tra le aree rurali pro-Thaksin e la capitale, tra centro e periferia, si andò acuendo fino ai fatti della primavera 2010 e nelle elezioni del 3 luglio si è materializzata in tutta la sua pregnanza. Yingluck Shinawatra ha ottenuto, infatti, il 40% dei seggi proprio grazie ai voti dei collegi del nord-est nei quali la vittoria del PTT sui Democratici si è concretizzata con un tennistico 104-4.

Meno netta, invece, la prevalenza nella zona centrale ed in quella nordoccidentale in cui il PTT si è comunque affermato con un secco 90 a 38. Nell’area della Grande Bangkok 23 seggi su 33 sono stati conquistati dal PD, ma è nella parte meridionale del paese, laddove la Thailandia si stringe formando uno spartiacque tra Oceano Indiano e Pacifico, che i Democratici hanno fatto incetta di voti conquistando 50 seggi su 53. Tale maggioranza è dovuta alla dura repressione attuata dal governo Thaksin nei confronti della popolazione musulmana della regione a partire dal 2004.

Il paese appare dunque profondamente diviso geograficamente, economicamente, politicamente e culturalmente e proprio nella gestione di tali fattori si misurerà l’azione del prossimo governo. La campagna elettorale di Yingluck si è focalizzata innanzitutto sugli aspetti economici (ha promesso un rialzo del salario minimo giornaliero del 30% portandolo a 300 baht), ma sono le questioni politiche a rappresentare i punti più critici. Il nuovo Primo Ministro dovrà dimostrare di saper tener fede alla promessa che il voto non sarebbe stato indirettamente destinato all’ingombrante fratello. Dovrà gestire la spinosa questione dell’amnistia per le 120 “camicie rosse” ancora in carcere e, soprattutto, dovrà cercare di non compromettere quella che è stata la seconda priorità della sua campagna elettorale, la riconciliazione nazionale, attraverso la riabilitazione politica del fratello Thaksin. Quest’ultimo ha dichiarato che tornerà in patria solo qualora ciò non dovesse mettere in pericolo il delicato equilibrio del paese. Intanto per lui si prospetta un ruolo da esule di prestigio: inviato commerciale all’estero. Soluzione che appare di compromesso dando, da una parte, nuova agibilità all’ex leader e la possibilità concreta di viaggiare senza problemi ed evitando, dall’altra, un rientro prematuro e rischioso per la stabilità interna. Resta da vedere come il nuovo governo si comporterà in merito all’amnistia nei suo confronti e relativamente ai 46 miliardi di baht (circa 1,5 miliardi di dollari) di asset confiscatigli ad inizio 2010.

I segnali registrati nei primi giorni post-elezioni vanno proprio nella direzione di tutelare la stabilità e favorire la riconciliazione: Yingluck ha dichiarato che il prossimo 5 dicembre il governo organizzerà una grande celebrazione in occasione dell’84° compleanno di Sua Maestà il Re Bhumibol Adulyadej, che con 65 anni di regno alle spalle è il sovrano più longevo al mondo.

Tuttavia gli scenari futuri appaiono altamente imprevedibili: il 50,4 degli utenti che hanno risposto ad un sondaggio pubblicato dal Bangkok Post il 4 luglio si è detto convinto che le urne saranno seguite da una nuova esplosione di violenza. Per ora l’esercito si è mantenuto alla finestra, attendendo le mosse del nuovo Primo Ministro e la nomina dei ministri, ma la dichiarazione del Comandante in Capo dell’esercito thailandese che prima delle elezioni ha smentito le voci di un possibile colpo in caso di vittoria della Shinawatra sostenendo che l’esercito aveva già “troppe cose da fare” è emblematica circa la situazione attuale della Thailandia. Del resto da quanto lo stato si è dotato di un assetto parlamentare nel 1932 l’esercito ha portato a termine 11 colpi di stato e tuttora riveste il ruolo, de facto, di arbitro della politica thailandese e garante del Re.

Copyright Equilibri http://www.equilibri.net/nuovo/articolo/thailandia-speranze-e-rischi-dopo-la-vittoria-della-shinawatra

mercoledì, luglio 06, 2011

Con la vittoria di Shinawatra i poveri tornano a sperare

di Niccolò Locatelli fonte: http://temi.repubblica.it/
L'esperto di Limes per il Sudest asiatico commenta il risultato delle elezioni in Thailandia. Le riforme economiche promesse, la reazione dell'esercito e quella cruciale della famiglia reale. L'appeal del fratello Thaksin, ex premier. Cosa cambia in politica estera.


(particolare della carta di Laura Canali "Il Mare Nostrum cinese" tratta da Limes 4/2008 "Il marchio giallo" - clicca sulla carta per andare all'originale)

Raimondo Bultrini, giornalista, scrive di Sudest asiatico per la Repubblica, l'Espresso e Limes.

LIMES: Yingluck Shinawatra ha trionfato alle elezioni politiche thailandesi di domenica. Quanto è merito del suo programma e quanto dell'appeal del fratello ex premier Thaksin, in esilio dal 2008 dopo che il suo governo fu rovesciato da un golpe nel 2006?
BULTRINI: Il programma di Yingluck si basa sulle stesse politiche populiste del fratello, e quindi i due appaiono - e sono - inscindibili l’uno dall’altra. Ma entrambi raccolgono un vuoto profondo lasciato dalla politica thailandese nella mente e nei cuori della popolazione, che sta attraversando uno dei periodi economici più stagnanti da quando, con il golpe del 2006, Thaksin è stato esiliato per la prima volta.
Anche il premier democratico sconfitto, Abhisit, ha tentato di presentarsi in campagna elettorale con un programma di aiuti "dal basso" all’economia, aumentando il salario minimo e quello degli impiegati laureati. Ma non c’è dubbio che la sua politica nei due anni al potere non ha corrisposto alle aspettative dei thai. A parte i guadagni delle poche imprese quotate sul mercato internazionale e interno, le condizioni di vita dei contadini - che costituiscono ancora quasi il 70% della popolazione - sono rimaste invariate, se non peggiorate. Il turismo è sceso ai minimi storici, sia dopo l’occupazione dell’aeroporto internazionale da parte degli avversari della famiglia Thaksin, le camicie gialle, sia dopo le rivolte delle camicie rosse dello scorso anno. Le repressioni hanno infine certamente alienato le simpatie popolari verso il governo e verso lo stesso esercito.


LIMES: Cosa rendeva popolare Thaksin?
BULTRINI: L’ex premier ha orientato le banche a concedere prestiti agevolati o addirittura a costo zero praticamente a tutti quelli che ne facevano richiesta: per comprare un motorino, un telefonino, avviare una piccola attività commerciale. Le amministrazioni dei villaggi hanno avuto a disposizione finanziamenti a fondo perduto per opere civili e l’avvio di iniziative locali sotto forma di consorzi per la distribuzione dei prodotti comunitari, dall’artigianato a determinati prodotti agricoli. Inoltre il governo comprava riso ai contadini a un prezzo relativamente alto a prescindere da quelli che sarebbero stati i ricavi reali, offrendo loro grande supporto. Analoga popolarità se l’è conquistata assicurando l’assistenza sanitaria semigratuita con una spesa di appena 30 baht (meno di un dollaro) per chiunque usufruiva dei servizi ospedalieri di base.
Quanto siano costate alle casse dello Stato, e quindi a tutti i cittadini, queste iniziative non è ancora chiaro, anche perché le banche hanno presto interrotto la concessione dei prestiti e molti piccoli proprietari indebitati hanno dovuto vendere la propria terra per ripagare i debiti. Ma Thaksin era riuscito a conquistare la fiducia popolare a prescindere dai risultati concreti ottenuti e dalle critiche degli analisti. La politica del pugno di ferro contro lo spaccio della droga, ad esempio, era stata ben accolta dai thai nonostante le oltre 2500 vittime spesso innocenti uccise dalla polizia e le denunce degli attivisti dei diritti umani.

Infine la repressione dell’esercito durante l’occupazione del centro di Bangkok ha portato altri adepti al partito del premier esule, visto come un eroe che cavalcava le loro battaglie anziché l’ispiratore di una pericolosa forma di protesta inevitabilmente destinata a essere fermata in maniera determinata e violenta.
Le 92 vittime tra aprile e maggio del 2010 non sono state infatti dimenticate, e non è bastata a giustificarle - come ha fatto il premier responsabile oggi sconfitto, Abhisit - l’esigenza di far ripartire il paese, fortemente provato dagli incidenti. Nemmeno la paura di un'ennesima e prossima “controrivoluzione” da parte delle camicie gialle, in caso di un ritorno dell’ex premier, ha dissuaso i votanti dal manifestare la loro netta preferenza per le politiche thaksiniane.


LIMES: La sorella porterà avanti la stessa politica?
BULTRINI:
Con i soldi ai villaggi o "tambon" (tre miliardi di dollari annunciati in caso di vittoria da Yingluck), i prestiti facili e la sanità semigratuita, Yingluck riproporrà le stesse scelte, con l’aggiunta di nuove idee antipovertà come le carte di credito per i contadini, così da non farli finire nel meccanismo dei prestiti bancari per comprare semi, pesticidi e strumenti di lavoro. Oppure come il salario minimo per i lavoratori dipendenti e perfino per i laureati (quest’ultimo fissato a 480 dollari mensili, una cifra altissima rispetto agli stipendi medi).
La prossima premier ha anche annunciato il ripristino della politica di acquisto del riso a prezzo garantito, con l’effetto di dare ai contadini proventi sicuri e generalmente più alti di quello di mercato. La Thailandia produce quasi un terzo del riso mondiale e questo dà l’idea delle cifre in ballo, capaci di far risalire, come già sta avvenendo da quando è stata data per certa la vittoria dei Thaksin, il prezzo del prodotto a livello mondiale. Secondo le promesse, una fetta consistente dei guadagni verrà riversata sui produttori. Non è un risultato certo, visto l’enorme fardello che lo Stato si accollerebbe in caso di variazioni al ribasso dei prezzi, ma elettoralmente ha pagato. Altra promessa difficile da mantenere ma vincente alle urne è stato l’annuncio di ridurre sensibilmente le tasse per le imprese.


LIMES: Il premier Abhisit Vejjajiva del Partito democratico ha riconosciuto la sconfitta. Le camicie gialle faranno lo stesso?
BULTRINI: È sicuramente una delle incognite più grandi, anche perché nella foga della notte elettorale è rimaso parzialmente fuori dalla discussione il fattore monarchico, ovvero la presa che hanno sempre avuto e continueranno certamente ad avere sia il re sia la sua famiglia e la Corte. Unanimemente le camicie gialle sono state considerate un movimento di massa a difesa dello status quo e soprattutto del re. Tutti i governi del resto - in parte anche Thaksin fu costretto a farlo - hanno sempre sostenuto la corona garantendo alle imprese e alle associazioni di affari dell’aristocrazia il semaforo verde per molte transazioni, spesso in opposizione agli interessi dell’ex premier esule e dei suoi potenti soci. La schiacciante vittoria dei “rossi” di Thaksin allontanerà per un po’ il rischio di reazioni, ma sicuramente - a diversi livelli - i “gialli” e i loro referenti nell’economia e nelle istituzioni civili e monarchiche stanno studiando qualche contromossa plausibile per opporsi o bloccare il processo di thaksinizzazione del Regno.

Potrebbero di nuovo sollevare il caso dell’aiuto offerto da Yingluck a suo fratello per nascondere i proventi delle imprese al fisco, oppure scatenare nuove proteste per imporre un cambio o un ridimensionamento del potere della futura premier, magari anche un nuovo colpo di Stato. Per il momento sembrano progetti irrealizzabili, e dovrà passare il clime di euforia seguito alla stragrande vittoria della sorella di Thaksin per ritirarli eventualmente fuori.


LIMES: Quale sarà la reazione dell'esercito?
BULTRINI:
Il comandante dell’esercito, dando a sua volta per scontato il risultato, ha annunciato che non interverrà assolutamente per ribaltare il quadro politico come avvenne nel 2006. Ma pochi giorni prima del voto lo stesso alto ufficiale Prayuth Chan-ocha aveva chiaramente invitato a votare “brave persone” fedeli alla monarchia e al popolo, un’allusione diretta al fatto che Yingluck Thaksin rappresentasse invece un’incognita e un rischio per re e sudditi. L’intervento dell’esercito è dunque strettamente legato all’evoluzione delle condizioni di salute del riverito monarca Bhumibol e ai delicati rapporti di forza all’interno della famiglia reale, con il principe della corona Vajiralongkorn, già considerato vicino a Thaksin, a rischio di essere osteggiato nello stesso Palazzo; senza contare il suo turbolento passato e un carattere decisamente impopolare.

In generale i “rossi” sono percepiti come la più grande minaccia alla monarchia, ma un ritorno in piazza dei “gialli” si potrà temere solo qualora questa minaccia si materializzasse - cosa improbabile - nelle politiche del governo. Yingluck sembra molto cauta anche a proposito dell'eventuale legge per far rientrare suo fratello, decisamente la mossa più a rischio capace di riportare migliaia di persone in piazza. Infatti ha proposto per ora un'eventuale amnistia per tutti, non solo per le camicie rosse che si resero responsabili di violenze e insubordinazione, ma anche per il premier sconfitto Abhisit, accusato di aver usato eccessiva forza contro i dimostranti.


LIMES: Che impatto avrà il risultato delle elezioni sulla controversia con la Cambogia?
BULTRINI:
Yingluck Shinawatra potrebbe gestire con maggiore facilità la controversia sorta attorno ai territori cambogiani sul confine dove sorge il tempio di Preah Vihear, sempre che non ci siano proteste nazionalistiche dei “gialli”, che hanno spinto finora l’esecutivo dei Democratici a usare le maniere forti. L’ex premier Thaksin infatti è in ottimi rapporti con il premier cambogiano Hun Sen e solo le proteste e il rischio di un’escalation militare gli hanno impedito di diventarne consulente economico.


LIMES: Cosa cambierà nella politica di Bangkok verso Stati Uniti e Cina?
BULTRINI:
La Thailandia gode di relazioni molto strette con gli Stati Uniti, che non hanno ancora stabilito una linea di condotta verso il nuovo esecutivo. Thaksin dopo l’esilio si è più volte recato in Cina dove vanta numerose relazioni con ambienti economici influenti e alcuni quadri dello stesso Partito comunista. Non è un mistero che Pechino cerchi in vari modi di trovare un nuovo spazio, finora limitato, sui mercati thai e soprattutto guadagnare maggiore influenza politica sostituendosi a Washington. La Thailandia non è infatti soltanto un mercato potenzialmente sempre più importante, ma anche un influente membro dell’associazione Asean che raccoglie i paesi del Sudest, spesso in contrasto con la politica espansionistica cinese.


LIMES: Oltre la Cina, che rapporti ha la Thailandia con i propri vicini?
BULTRINI:
Un punto delicato resteranno i rapporti con la Malesia per il controllo dei militanti che combattono per l’indipendenza nelle tre province meridionali thai: Thaksin è considerato responsabile della ripresa delle violenze dopo gli interventi sanguinosi dell'esercito thailandese poco dopo l’inizio del suo mandato nel 2001. Con il Laos sono in ballo numerosi accordi per la fornitura di energia, lo sviluppo di infrastrutture turistiche e viarie comuni, e le relazioni non dovrebbero cambiare radicalmente. Lo stesso vale per il regime dei generali birmani, verso i quali prevarrà una politica di convenienza come è stato finora. Dal Myanmar vengono legno, acqua ed energia, oltre ai prodotti commercializzati attraverso le porose frontiere dove la corruzione è più forte di ogni politica estera.

(5/07/2011)

sabato, luglio 02, 2011

Ital-Thai costruirà un mega porto da nove miliardi di dollari sulla costa birmana

Rendering del porto di DaweiRendering del porto di Dawei

«Ci mettiamo la faccia: ci prenderemo cura di tutte le persone che dovranno lasciare le loro case. Ne faremo di nuove. Se qualcuno subirà un torto, andrò personalmente a protestare col Governo birmano». Parola di Somchet Thinapong, Managing Director del Dawei Development Project.

Il progetto, del valore di quasi nove miliardi di dollari, è di un porto per navi di grande tonnellaggio a Dawei, sulla costa birmana del Mar delle Andamane, a un centinaio di chilometri dal confine thai, 300 da Bangkok. Il piano comprende anche insediamenti industriali, collegamenti stradali e ferroviari. L'area di 250 chilometri quadrati attorno a Dawei è destinata a diventare la prima "zona economica speciale" del Myanmar (nome ufficiale della Birmania).

Dopo anni di trattative il progetto sembra concretizzarsi con l'annuncio della Italian-Thai Development (ITD), proprietaria della Dawei Development, che il 49% della società sviluppatrice è disponibile per investitori locali e stranieri.

La Italian-Thai si chiama così perché fu fondata nel 1958 da un thai, Chaijudh Karnasuta, e da un italiano, Giorgio Berlingieri, che aveva operato come sommozzatore sul finire della seconda guerra mondiale. L'amicizia tra i due era nata durante il recupero di 5 chiatte affondate nel Chao Phraya, il fiume che attraversa Bangkok. Nel 1981, con la scomparsa dell'italiano, la ITD divenne totalmente thai. Oggi non si sa se dispiacersene o rallegrarsene.

Il rammarico può derivare dal fatto che l'Italthai è la più grande impresa di costruzione d'infrastrutture della Thailandia. Se il progetto sarà portato a termine, potrebbe entrare nella top ten asiatica: il Governo birmano ha garantito alla società esenzioni fiscali, la concessione di 75 anni per la costruzione degli impianti industriali pesanti e di 40 per quello leggeri. Alla fine, il valore dell'operazione potrebbe essere di quasi 60 miliardi di dollari. Il Dawei Project, infatti, può ridisegnare lo scenario macroeconomico dell'area, ponendosi come snodo nel traffico tra i paesi dell'Asean (l'Associazione delle nazioni del sud-est asiatico) e tra questi e la Cina, bypassando la rotta attraverso lo Stretto di Malacca, una navigazione di circa 7 giorni.

«Questo progetto può cambiare l'Asia», afferma Somchet Thinapong. Secondo lui, il porto di Dawei, centrando il commercio per la Cina nel golfo del Bengala, potrebbe addirittura disinnescare la crisi per il controllo del traffico sulle coste del Mar della Cina Meridionale. La Strategy è una delle "S" su cui Somchet vuole basare la presentazione agli investitori e che butta giù nel corso dell'intervista. Seguono: Scale (l'economia di scala), Scope (l'opportunità di migliorare), Speed (velocità), Sourcing (la disponibilità di materiali), Service e Sales (vendite). Tutte assieme, secondo Somchet, possono cambiare la vita di milioni di persone.
Ma forse bisogna rallegrarsi che l'Italian-Thai sia italiana solo per metà nome. Perché c'è un'altra S nella presentazione. Sta per Security. Somchet ammette che c'è un margine di rischio. Determinato dalla guerriglia etnica e dalle sanzioni occidentali sul governo birmano (altra S). Ecco perché la società ci "mette la faccia": tutelando le popolazioni locali, eviterà l'ennesima crisi umanitaria in Birmania.

«L'obiettivo è solo il profitto. Vedono solo la strada più breve per Bangkok, per il golfo di Thailandia. Non vedono la gente, l'ambiente» replica Kraisak Choonhavan, senatore thai, attivista per i diritti umani, ambientalista, presidente dell'Asean Inter-Parliamentary Myanmar Caucus, che opera per la democrazia in Birmania. «L'idea di un porto sul Mar delle Andamane è vecchia. Doveva essere in Thailandia. Ma qui c'erano troppi problemi. Ecco quindi la soluzione di spostarsi in Birmania: là i problemi non ci sono e se ci sono, si risolvono» dice Kraisak, che ricorda altri progetti di grandi opere in Birmania risolte con terribili violazioni dei diritti umani, stupri di massa.

Ha scritto Robert Kaplan nel saggio Monsoon: «Mentre l'Oceano Indiano diventa il collettore delle politiche energetiche che alimentano il XXI secolo, milioni di birmani potrebbero essere gli sconfitti di questo processo, vittime di una diabolica confluenza di totalitarismo, realpolitik e profitti delle imprese».

Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-06-30/italian-thai-birmania-103700.shtml?uuid=Aa8IWBkD

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