Il Paese è il primo produttore mondiale di riso, tuttavia finora la sua mossa ha avuto un impatto relativo sui mercati internazionali – Per molti è una misura populistica, ma intanto salgono i prezzi per l'export, e quando il programma sarà a regime è probabile un’impennata dell’inflazione in molti paesi asiatici e un secco calo delle vendite di Bangkok.
      Dopo le promesse elettorali, sono arrivati i fatti. Venerdì il  Governo thailandese ha iniziato gli interventi a sostegno degli  agricoltori del Paese comprando i primi quantitativi di riso non  brillato a un prezzo di 15mila baht per tonnellata, il doppio rispetto  ai valori di mercato registrati in giugno.   Sui mercati internazionali,  la mossa, preannunciata dal premier Yingluck Shinawatra - che su essa  ha costruito la vittoria alle elezioni svolte in luglio - ha esercitato  finora un impatto relativo.
Anzi, al Chicago Board of Trade il  contratto sul riso unmilled ha perso proprio nelle ultime quattro  settimane il 14%, allontanandosi dal record triennale di 18,17 cents per  centiweight realizzato il 12 settembre. In precedenza però il future  aveva corso molto, specialmente se paragonato agli altri cereali:  infatti dall’inizio dell’anno fino a venerdì sera il future sul frumento  ha ceduto il 24,6%, quello sul mais è sceso del 3,3%, mentre il riso ha  guadagnato il 10,1%. 
Quale possa essere la reazione alla mossa  di Bangkok non è certo, ma qualche rafforzamento è assai probabile, in  considerazione del fatto che la Thailandia è il primo esportatore  mondiale di riso e che il suo governo non intende abbandonare il piano  pro-farmers, a costo di rilevare l’intera produzione da adesso al  febbraio prossimo. Un primo effetto sui prezzi per l’export si è già  visto proprio nel fine settimana, con valori passato in poche ore da 650  a 670-680 dollari per tonnellata, mentre a fine maggio erano inferiori a  500 dollari. 
Sulla carta, commentano gli analisti, è una  misura populista, che favorisce il raggiungimento di un miglior tenore  di vita nelle campagne thailandesi. Ma a regime il prezzo del riso  esportabile salirà fino a 850 dollari per tonnellata e causerà senza  dubbio un’impennata dell’inflazione in molti paesi asiatici e un secco  calo delle vendite di Bangkok all’estero. Gli esportatori saranno restii  a disputare il cereale, per strapparlo agli acquisti governativi, e  attenderanno probabilmente di capire la destinazione finale delle  derrate che verranno sottratte al mercato. Gli acquisti statali del  prossimo raccolto potrebbero raggiungere i 10 milioni di tonnellate, su  una produzione totale che Bangkok prevede in almeno 25 milioni di  tonnellate di riso non brillato.
Il Vietnam, secondo esportatore  mondiale, potrà avvantaggiarsene, come pure l’India, che potrebbe  allentare i vincoli che riducono le disponibilità di riso per l’export.  Invece tutta l’area dei grandi importatori, Filippine in testa, rischia  un balzo dell’inflazione, se non problemi alimentari seri. Ad attenuare  l’impatto sui prezzi al consumo sarà per il momento la delicata fase  dell’economia mondiale, che ha limato le quotazioni di altri cereali,  come si è visto per mais e frumento.
Però a Manila si guarda già  alle possibili conseguenze: il riso rappresenta il 9% nel paniere  locale dell’inflazione e le importazioni coprono normalmente il 17% del  consumo. La sua inflazione in settembre è stata stimata al 4,8% e un  incremento del 10% per i prezzi del riso porterebbe l’inflazione al  5,6%. Simile la situazione in Indonesia, dove è già stato segnalato nei  giorni scorsi un casus belli: una vendita di 300mila tonnellate, già  concordata in precedenza, è stata bloccata da Bangkok perché ritiene che  il prezzo sia da rivedere, naturalmente al rialzo, mentre Giakarta è di  tutt’altro avviso.
(Fonte: http://www.firstonline.info/home)
 
 
