lunedì, dicembre 19, 2011

La terza invasione di Ayutthaya
Luca Maria Scarantino
Fonte:
http://www.ilsole24ore.com/

«Tutta questa zona», mi dice il collega che mi accompagna ad Ayutthaya, «era sott'acqua». L'autostrada che da Bangkok porta verso il nord è tuttora punteggiata di veicoli semidistrutti. Ai lati della strada, migliaia di sacchi di sabbia si mescolano ai cumuli di mattoni usati per costruire muri di contenimento. Sono alcuni tra i segni tuttora visibili delle catastrofiche alluvioni che hanno colpito la Thailandia negli ultimi mesi. Lo "tsunami lento", com'è stato chiamato, ha provocato centinaia di vittime, sconvolto quasi metà di un Paese più grande della Spagna e bloccato gran parte della produzione industriale (con effetti globali: l'industria automobilistica giapponese è delocalizzata in Thailandia). Tra le zone alluvionate si trovano anche alcuni tra i maggiori siti del patrimonio culturale del Paese, a cominciare dall'antica capitale Ayutthaya. I suoi grandiosi siti archeologici sono rimasti sommersi per oltre un mese.
Secondo i dati forniti dal ministero della Cultura, l'alluvione ha interessato oltre un centinaio di monumenti storici nella sola area di Ayutthaya. Le autorità locali lasciano intendere che i danni al patrimonio archeologico, iscritto nella lista del Patrimonio mondiale dell'Unesco, sono limitati. Una campagna popolare di pulizia dei principali siti di interesse storico è stata lanciata in collaborazione con l'autorità nazionale per il turismo: secondo il Governo regionale, sarà sufficiente a rimettere in buono stato la maggior parte dei monumenti colpiti dall'alluvione. Alla vigilia della stagione di maggior afflusso turistico dell'anno, è un ottimismo comprensibile. Intanto però la zona antistante il Wat Chaiwattanaram, tra i maggiori templi della città, è desolatamente deserta. Il luogo è spettrale. L'area, per metà ancora sommersa, è ora completamente priva di vegetazione. L'intero complesso, ci spiega un ufficiale di guardia, resterà chiuso il tempo di valutare i danni. Tutto quel che si può fare è osservare dall'esterno. Alcuni giornalisti locali e una decina di turisti è tutto quel che incontriamo in mezza giornata.
Altrove, come nel vicino Wat Yai Chaimongkhon con il celebre Buddha sdraiato, la situazione sembra migliore. Le pompe idrovore hanno funzionato, ci dice un inserviente. Tuttavia, gli esperti si mostrano prudenti. Tim Curtis, responsabile dei Beni culturali per l'Unesco a Bangkok, ha avvertito circa la necessità di valutare gli effetti dell'acqua nel medio e lungo periodo. Sebbene la maggior parte dei visitatori di Ayutthaya porti con sé l'immagine delle grandi sculture in pietra, le fondamenta e le strutture portanti dei templi sono in mattoni. La loro stabilità è ora sotto osservazione. L'acqua, la cui altezza ha superato in alcuni punti i due metri, ha in gran parte ricoperto i numerosi affreschi. Uno specialista italiano del restauro dei dipinti murali, Carlo Giantomassi, tra i componenti di una missione scientifica internazionale incaricata di stilare un primo bilancio della situazione, ha messo in evidenza i danni arrecati alle pitture. Le prime analisi hanno evidenziato la presenza di nitrati e solfati nell'acqua entrata a contatto con le pareti.
L'alluvione di quest'anno non sembra destinata a essere l'ultima. I media nazionali parlano di una "terza invasione" di Ayutthaya, ricordando le devastazioni compiute nei secoli scorsi dalle truppe birmane. Ma l'eccezionalità delle piogge non spiega, da sola, la dimensione che hanno preso gli eventi. Ayutthaya, un'isola alla confluenza dei fiumi Chao Praya e Pa Sak, ha subito negli anni Cinquanta e Sessanta una modernizzazione urbanistica che ne ha stravolto l'aspetto. I canali che ne formavano il tessuto viario sono stati in gran parte colmati e il rapido sviluppo della città ha modificato la naturale capacità di drenaggio del suolo. Proprio la sostenibilità idrogeologica del tessuto urbano in cui sono inseriti è stata indicata da Curtis come una della chiavi per la conservazione dei siti archeologici di Ayutthaya.
Al di là degli effetti sui siti di maggior notorietà internazionale, sono le decine di siti minori che sembrano aver subito i maggiori effetti dell'alluvione. Le autorità thailandesi e la comunità scientifica dovranno probabilmente compiere scelte difficili tra il risanamento dei luoghi di maggior attrazione turistica e il recupero di siti di minore, ma non trascurabile rilevanza storico-archeologica. È un problema che la Thailandia condivide con altri Paesi e in cui valutazioni storico-archeologiche si scontrano talvolta con interessi economici. D'altro canto, le modalità del restauro del patrimonio storico thailandese sono tradizionalmente oggetto di controversia. Il restauro conservativo è ancora poco diffuso e si tende a privilegiare la messa a nuovo. La patina del tempo è considerata qualcosa da rimuovere e ovunque si incontrano templi secolari che sembrano appena rifatti. L'importanza dei siti colpiti e il coinvolgimento dell'Unesco potrebbero forse rappresentare un'opportunità per un dibattito in merito.
In questo, occorrerà una partecipazione attiva da parte della comunità scientifica e intellettuale. Anch'essa del resto ha subito gli effetti dell'alluvione. Il campus dell'Università Chulalongkorn, la principale del Paese, reca ancora le tracce dei centri di accoglienza in cui, per settimane, hanno trovato rifugio migliaia di vittime dell'inondazione. Appena fuori Bangkok, a Rangsit, il campus dell'Università Thammasat è stato trasformato in uno dei maggiori centri di accoglienza del Paese prima di essere inondato a sua volta. Diverse università, sia pubbliche che private, hanno istituito centri di raccolta di beni di prima necessità. In un momento in cui lo scarto tra la capitale, in gran parte risparmiata, e il resto del Paese rischia di tradursi in tensioni durature, le riflessioni sul futuro della società thailandese non sono prive di preoccupazione. «Oltre alla sofferenza di chi ha perso tutto», ci dice Chaiwat Satha-Anand, uno dei maggiori politologi del Paese, «c'è stata la sofferenza di chi per intere settimane ha vissuto nell'incertezza del domani, nell'ansia di non sapere se sarebbe potuto rientrare a casa, se avrebbe ancora avuto una casa». Di fronte alle immagini di gran parte del Paese completamente sommerso dall'alluvione, le incertezze delle élite intellettuali della capitale possono sembrare poca cosa. Ma proprio la mancanza di informazioni certe, il ripetuto contraddirsi delle autorità locali e centrali e l'intrecciarsi di interessi politici divergenti sembrano aver lasciato un segno profondo nello spirito del Paese. «Si dice che gli esseri umani siano diversi nei modi di cercare la propria felicità, ma uniti nella comune miseria», conclude Satha-Anand: «nel caso della Thailandia, la sofferenza sembra invece accentuare le nostre divisioni».
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