CRONACA – Ogni anno centinaia di pazienti italiani e migliaia nel mondo intraprendono un viaggio della speranza. In una mano il biglietto aereo diretto verso la Cina, l’India, la Thailandia, la Repubblica Dominicana o altri paesi emergenti. L’altra mano aggrappata alla promessa di una cura di cellule staminali contro malattie che la medicina non è ancora in grado di sconfiggere: sclerosi multipla, distrofia muscolare, morbo di Alzheimer e altre.
Nonostante gli avvertimenti lanciati dalle autorità sanitarie di stare alla larga da sedicenti guaritori, tanti per disperazione cadono nella trappola, abbindolati dalle informazioni ingannevoli pubblicizzate su internet dai venditori di miracoli. I malati si sottopongono a trattamenti sperimentali eseguiti in cliniche private senza scrupoli e senza regole. Meglio di niente, pensano. Meglio tentare. Nel migliore dei casi tornano a casa nelle stesse condizioni di partenza e con il conto in banca prosciugato. Alcuni s’illudono di stare effettivamente meglio per un primo periodo. Ma sempre più spesso vengono a galla storie di pazienti che riportano complicazioni serie in seguito alle terapie eseguite al di fuori dei protocolli clinici o non ancora approvate.
L’ultimo, agghiacciante, episodio riguarda una donna inglese morta a causa delle iniezioni di cellule staminali ricevute in un centro di Bangkok per curare la malattia renale autoimmune, il lupus nefritico, da cui era affetta. L’esame dell’autopsia riportato sul Journal of the American Society of Nephrology e ripreso dal New Scientist ha accertato che il trattamento aveva provocato la formazione di strani noduli a livello del rene, fegato e ghiandola surrenale responsabili in ultima istanza del decesso, avvenuto circa un anno dopo la terapia. Sotto accusa i medici che hanno effettuato l’intervento, per di più con una tecnica non convenzionale. Sei anni fa, infatti, un trial clinico condotto in Europa su 50 pazienti con malattie renali simili aveva preso in esame le iniezioni nel sangue di staminali ricavate dal midollo osseo. Circa un terzo dei partecipanti aveva avuto una ricaduta dopo un anno, 12 morirono. Due terzi hanno tratto giovamento dal trattamento, alcuni con la remissione della malattia.
Al contrario, nella clinica thailandese le staminali sono state iniettate direttamente nei reni in modo che le cellule riparassero l’organo. “Non c’è alcun razionale scientifico per fare una cosa del genere”, ha scritto nell’articolo di commento Susan Quaggin del Mount Sinai Hospital di Toronto in Canada. “Sospetto che questo caso sia solo la punta dell’iceberg. Probabilmente altri pericolosi effetti collaterali non sono stati diagnosticati o non riferiti alla comunità scientifica”. Gli esperti ora si interrogano su come regolamentare più severamente il far-west del “turismo staminale”. Chiedono un giro di vite sul business delle staminali, proliferato nei paesi dove i controlli sanitari sono scarsi. Da un lato per tutelare i pazienti e metterli in guardia dai rischi che corrono. Dall’altro per evitare che altri casi drammatici possano fermare la ricerca scientifica in corso.
di Daniela Cipolloni - Fonte: http://oggiscienza.wordpress.com/