La figura di Budda è, per antonomasia, quella di un rinunciatario, un asceta, che praticò e predicò una vita religiosa nella quale la partecipazione individuale in una comunità era di primaria importanza, così come la disciplina, la concentrazione e l’autocontrollo.
Il Buddha che conosciamo noi occidentali è Siddharta Gautama, che si ritiene sia vissuto tra il 580 ed il 550 a. C (più o meno negli stessi anni in cui vissero Socrate e Confucio) nella città di Kapilavastu, nell'odierna regione di Gorakhpur, al confine con il Nepal. La sua famiglia era ricca e potente, un clan di guerrieri che amministravano la loro piccola repubblica in modo oligarchico. Della sua vita non abbiamo nulla di autobiografico, ma conosciamo i suoi insegnamenti tramite seguaci e poeti che scrissero di lui dopo la sua morte, più di duecento anni dopo ed anche dopo l’inizio dell’era cristiana.
Non esiste infatti una sola biografia del Buddha, ma ne esistono diverse, che contengono leggende e tradizioni legate ai luoghi dove sono state scritte: non possiamo parlare di verità storiche, ma di verità ‘culturali’, nel senso che ci fanno capire dove si innestano i fondamenti del Buddismo. Le prime biografie di Budda furono scritte in lingua Pali o in Sanscrito: alcune di esse, come ad esempio La Grande Storia – Mahavastu - sono incomplete, nel senso che non raccontano la sua intera vita, ma si soffermano in particolare su alcuni episodi, come la sua illuminazione; altre biografie invece seguono il personaggio fino alla sua morte. Esistono inoltre altre biografie, più recenti, della vita di Buddha, scritte in cinese o tibetano e spesso in dialetti locali, come il cingalese, il burmese, il Thai, il Khmer, il mongolo, il coreano: non parlano solo della vita dell'illuminato, ma sono libri di preghiera e di meditazione basati sugli episodi della vita di Buddha.
Dobbiamo poi pensare che le prime storie sulla vita di Buddha non erano testi letterari, ma bassorilievi, trovati nell’India centrale. Per esempio in una delle colonne del Portale Nord della città di Sanchi, c’è una rappresentazione di una scimmia che offre un vaso di miele a Buddha, la cui presenza è simbolizzata da un albero e da un trono vuoto : non vi erano ancora rappresentazioni antropomorfe, come forma di rispetto e Buddha veniva rappresentato come un albero, una ruota o una serie di impronte di piedi. Sicuramente gli artisti del tempo si riferivano ad una tradizione orale diffusa ed ai testi che conoscevano, i quali a loro volta venivano influenzati dalle riproduzioni artistiche del tempo.
E’ per questo che possiamo parlare delle molte vite del Buddha, non solo per le vite precedenti jatakas, ma per i tanti modi in cui la sua storia è stata raccontata.
Esiste un’intima connessione fra i fatti della vita di Buddha ed i luoghi dove questi fatti sono avvenuti. Ve ne sono alcuni ‘storici’ ed altri, considerati ‘apocrifi’ dagli studiosi, in cui si parla di visite-lampo di Buddha anche in paesi diversi dall’India, come quello verso l’Afghanistan ed il Kashmir, effettuato nel corso di una sola notte, mentre il maestro era in trance meditativa, oppure come i suoi tre viaggi compiuti nell’attuale Sri Lanka, volando. Questo sarebbe accaduto nel nono mese, tra il quinto e l’ottavo anno dopo la sua illuminazione.
Tutti questi centri, legati alla vita del maestro, sono diventati luoghi di pellegrinaggio e di meditazione e sono anche serviti per raccontare la vita del Buddha in termini di ‘cicli’ o eventi avvenuti in luoghi particolari : il ciclo di Kapilavastu ad esempio parla della nascita e della giovinezza di Buddha, il ciclo di Magadha (illuminazione), il ciclo di Benares (primo sermone) e così via.
Della sua giovinezza sappiamo che il piccolo Buddha fu mostrato a suo padre, il quale, vedendolo, cadde in adorazione; che fu mostrato agli dei del suo clan e le statue di questi dei caddero in frammenti ai suoi piedi; di Buddha bambino che fu mostrato ai sacerdoti bramini, i quali predissero che egli sarebbe diventato il Buddha vedendo alcuni segni sul suo corpo; che gli fu insegnato a scrivere, a cavalcare, usare l’arco, tirare un giavellotto ecc.; che visse, tempo dopo, nell’harem con le sue mogli; che vide gli uomini che gli fecero fare la sua prima ‘scoperta’: il vecchio, il malato, il morto, cui seguì la sua prima trance meditativa, ed infine la sua grande partenza da Kapilavastu per andare verso l’illuminazione.
Studiò i massimi sistemi filosofici dell’induismo, Shamkya e Vedanta, poi cercò la via spirituale attraverso la mortificazione del corpo (digiuni e pratiche ascetiche), ma non trovò in questo le risposte che cercava. La leggenda narra che un giorno, ridotto quasi in fin di vita, incontrò una donna che lo nutrì con latte e riso e lo incoraggiò a nutrirsi, spiegandogli che gli eccessi non possono portare alla verità, così come le corde troppo lente o troppo tese del suo strumento non possono dare il giusto suono.
E’ importante però sapere che anche nella prima tradizione buddista, Gautama non era considerato l’unico, in quanto aveva avuto dei predecessori e che avrebbe avuto dei successori, che avrebbero percorso il suo stesso cammino. Gautama è importante perché è quello che conosciamo meglio, ma la storia della sua vita non deve essere limitata a lui stesso. Troviamo questo messaggio nel Discorso sulla Grande Leggenda Mahavadana-sutra, che esiste sia in versione Pali che in Sanscrito: esso narra la vita di Buddha, dalla sua nascita alla sua illuminazione, ma non è la vita del Buddha Gautama, ma del Buddha Vipasyi, la cui storia è esattamente come quella di Gautama, tranne per il fatto che i nomi delle persone che gli sono vicine sono diversi, come diversi sono i luoghi. Ad esempio in un testo sanscrito vengono enumerate le azioni indispensabili che ogni Buddha deve necessariamente compiere: nessun Buddha può morire in un finale nirvana se non ha indicato un successore, se non ha convertito tutti quelli che poteva convertire, se non ha vissuto più di tre quarti della sua aspettativa di vita, se non ha tenuto un’assemblea dei suoi discepoli presso il lago Anavatapta, se non ha portato i suoi genitori a capire la verità, ha fatto un grosso miracolo a Sravasti ecc.
La tradizione tibetana narra la storia di Buddha partendo della sua discesa dal Paradiso e della sua entrata nell’utero materno, poi vi è la nascita, l’attitudine mostrata per i vari mestieri, la vita nell’harem, la grande partenza dal palazzo, la pratica dell’ascetismo, la sconfitta di Mara, che voleva impedirgli di raggiungere il nirvana, la sua prima predica ed infine la morte e parinirvana.
In un testo Pali troviamo la lista più completa della sua vita: dalla discesa nell’utero materno, alla sua nascita, in un parto avuto dalla madre in posizione eretta. La sua grande partenza avviene dopo aver visto i quattro segnali e la nascita del suo primo figlio. Praticava l’ascetismo per almeno sette giorni, indossava abiti gialli, fino a che , nel giorno della sua illuminazione aveva un pasto di riso e latte.Si sedeva in un sedile fatto di erba, si concentrava sul suo respiro, sconfiggeva le forze di Mara e raggiungeva una piena illuminazione nella posizione del loto, con le gambe incrociate.
La biografia della Grande Storia – Mahavastu - appartiene ad una scuola buddista che enfatizza la natura sovrannaturale di Buddha: Gautama è visto come integrato nella natura terrestre, ma senza esserne particolarmente coinvolto. Non sente fatica, può sedere nell’ombra ma non si sente tormentato dal calore del sole, può mangiare e bere, ma non ha mai sete o fame: è un’enfatizzazione delle sue qualità di purezza e trascendenza.
Come si è già accennato, la prima ‘scoperta’ spirituale di Gautama fu che la vita è sofferenza. Egli arrivò a questa conclusione dopo aver visto, durante le sue rare uscite dalla casa paterna, prima un vecchio, poi un malato e quindi il feretro di un morto. Nelle sue parole così viene illustrata questa verità: ‘La nascita è sofferenza, la vecchiaia è sofferenza, la malattia è sofferenza, la morte è sofferenza, essere uniti a ciò che non si ama è sofferenza, essere separati da ciò che si ama è sofferenza, non realizzare il proprio desiderio è sofferenza…’.
La seconda verità spiega che il destino umano dipende dalla legge causa-effetto che si può immaginare come una catena di dodici anelli, in cui ognuno genera il successivo e deriva dal precedente, in un cerchio senza fine che è il Samsara, la ruota della morte e della rinascita. Questa verità è detta 'verità sull'origine del dolore': il risultato delle nostre azioni (karma) passate determina la nascita in una casta privilegiata o in una condizione di emarginazione e, nella vita, non vi è altro da fare che comportarsi bene e sperare in una rinascita migliore.
La terza verità sostiene che basta agire su uno degli anelli di questa catena per avere ragione di tutti gli altri. Si può ad esempio cercare di superare l’ignoranza, cercando di essere ‘lanterne di sé stessi’, senza bisogno di ausili esterni, arrivando così alla liberazione.
La quarta verità indica la via che conduce all'estinzione della sofferenza: un ottuplice sentiero di rette opinioni, retto scopo, rette parole, retta azione, retto modo di esistere, retto sforzo, retta attenzione, retta meditazione. Chiunque si incammini su questa via di otto sentieri paralleli non vuole ottenere paradisi o evitare inferni: il suo scopo è quello di raggiungere l'esatta percezione dell'universo in cui è immerso, che è un continuo aggregarsi e disgregarsi. In esso nulla è permanente, tanto meno il proprio ‘io’. Chi comprende questo ha sconfitto l'ignoranza, ha spezzato le catene, ha raggiunto il Nirvana, cioè ‘estinzione’ uno stato mentale raggiungibile in vita solo quando tutti gli attaccamenti sono estinti.
L’incontro con un asceta influenzò molto il pensiero di Gautama, che in quella vita, priva di beni materiali e di affetti, esclusivamente dedicata all'indagine e alla meditazione, vide la possibilità di trovare il senso dell’esistenza.
Fu così che sedette ai piedi di un grande pipal e, assunta la posizione della meditazione, rimase così tre giorni e tre notti. Questa meditazione lo portò alla comprensione della Legge che regola l’universo e che porta alla liberazione. Fu una vera e propria illuminazione, tanto che, da questo momento, si fece chiamare Buddha, che significa appunto ‘il risvegliato’.
Ottenuto questo stato ineffabile l'illuminato scelse di conservare il più nobile dei legami terreni: quello dell'altruismo e della compassione. Egli volle allora indicare la via a chiunque, in base alle possibilità di ciascuno; insegnò a uomini e donne di ogni ceto e condizione la ragionevolezza e la non violenza, il rispetto reciproco e per la natura, la semplicità ed il buon senso.
Le diverse interpretazioni che cominciarono a fiorire alla morte del maestro diedero origine a molte scuole non solo in India, ma anche in gran parte dell'estremo oriente. Dal diciannovesimo secolo in poi il buddhismo ha attratto su di sé anche l'attenzione degli studiosi occidentali: chi imbocca la strada del buddismo vi trova una religione, una scienza della mente, uno stile di vita tollerante e non violento, da contrapporre a tutte le forme di violenza, militare, politiche, sociali ed economiche.
Poco importa allora sapere se questo Buddha è veramente esistito o no: forse si tratta di un personaggio leggendario, cui sono state attribuite caratteristiche derivate da altre divinità, leggende, profeti che lo avevano preceduto; forse nella storia di Buddha c’è anche un po’ della vita di Gesù (nato da una vergine, realizzò miracoli e prodigi, guarì gli infermi, predicò la castità, la tolleranza, la compassione, l’amore e l’uguaglianza tra gli uomini ecc.).