venerdì, marzo 20, 2009
Salviamo il Mekong
di Marina Forti
Una critica così aperta è rara, da parte di un alto funzionario dello stato del Vietnam: il vicesegretario della Commissione nazionale per il Mekong, signor Dao Trong Tu, ha dichiarato a un'audience internazionale che «lo sviluppo di dighe per generare energia idroelettrica (sul Mekong e i suoi affluenti) può avere conseguenze negative impreviste per il paese». Dao parlava a un incontro della Mekong River Commission, l'organismo regionale di cooperazione che riunisce Vietnam, Cambogia, Thailandia e Laos - ovvero i paesi che condividono il tratto indocinese del grande fiume che nasce sull'altopiano tibetano, in Cina, per buttarsi nel mar Cinese meridionale. «I 20 milioni di vietnamiti che abitano il delta del Mekong, che dipendono dal pesce per l'export e dall'acqua per l'irrigazione, subiranno un impatto negativo», aggiungeva un suo collega durante la stessa riunione, nel settembre scorso. Le loro critiche sono state riprese da un giornale nazionale, il «Thanh Nien» (noi le leggiamo in una corrispondenza dell'agenzia Ips).
Eppure la Mekong River Commission ha deciso di rilanciare i progetti per costruire nuove dighe, e il Vietnam, oltre alla Thailandia, ne è tra i protagonisti. Non che le dighe siano una novità. Fin dagli anni '60 del secolo scorso si susseguono i progetti e ormai ci sono decine di dighe con centrali idroelettriche sugli affluenti del basso Mekong (tralasciamo qui la parte alta del fiume, dove la Cina ha già costruito tre grandi dighe sul corso principale del fiume e ne ha 5 in progetto). Le dighe hanno suscitato polemiche e veri e propri movimenti di protesta, in particolare in Thailandia dove la società civile organizzata ha più spazio (il movimento contro la diga di Pak Mun ha fatto scuola). Queste grandi opere hanno costretto intere comunità locali a sfollare, sottratto loro terra coltivabile, e soprattutto distrutto il ciclo di vita del pesce: il Mekong e i suoi affluenti sono popolati da specie di pesci migranti, che risalgono la corrente in certe stagioni per riprodursi tra gli scogli e le rapide. Sulle piene dei fiumi è scandita la vita rurale dell'intera regione (e l'80% della popolazione dei quattro paesi è rurale). Il pesce rappresenta il 60% delle proteine animali consumate dagli abitanti dei quattro paesi, l'80% per la popolazione rurale, ed è la base dell'economia locale, per l'autoconsumo e per l'export. Ma i pescatori fanno sempre più fatica a riempire le reti.
A partire dagli anni '90 i paesi della Mekong River Comission hanno formulato progetti faraonici per centrali idroelettriche, sostenute da organismi internazionali come la Banca asiatica di sviluppo. Non tutto è andato in porto, in parte per le proteste, in parte perché la crisi asiatica alla fine degli anni '90 aveva rallentato gli investimenti. Dalla metà del 2006 però i governi di Cambogia, Laos e Thailandia hanno avviato i preliminari per ben 11 nuovi progetti idroelettrici, questa volta sul corso del Mekong stesso. Vi sono coinvolte aziende di Thailandia, Malaysia, Vietnam e Cina; le nuove dighe sorgeranno soprattutto nel Laos settentrionale, dove il Mekong scorre tra gole bellissime. O nel Laos meridionale presso le cascate di Khone, un paesaggio naturale suggestivo - e una delle più importanti vie migratorie del pesce. Tutto questo ha messo in allarme una coalizione di ambientalisti e attivisti sociali, della regione e internazionali, che ha lanciato la campagna «save the Mekong»: dicono che la sopravvivenza del fiume, e della sua popolazione umana, è minacciata (www.internationalrivers.org).