Il Laos e la Cambogia programmano dighe per vendere energia elettrica. La Cina ha 4 grandi dighe a monte ed è accusata di sottrarre l’acqua. A rischio l’ecosistema del fiume e la vita di 65 milioni di persone. Vietnam e Thailandia non contrarie a un coinvolgimento degli Usa.
Hanoi (AsiaNews/Agenzie) – Circa 65 milioni di persone vivono lungo il fiume Mekong, che li sostiene grazie alla pesca (stimata valere 3 miliardi di dollari annui) e agli allevamenti ittici. Ma ora il fiume, lungo 4.880 chilometri e ritenuto il 2° più ricco al mondo per biodiversità, è minacciato da molti progetti di dighe idroelettriche, tra cui la diga Xayaburi, che a settembre il Laos ha sottoposto alla Commissione per il Fiume Mekong (Cfm).
Il povero Laos vuole realizzare energia da vendere a Thailandia e Vietnam. Il costo di costruzione sarà in gran parte coperto da una ditta thailandese. Ma ambientalisti e residenti sono preoccupati perché nessuno ha studiato in modo approfondito le possibili conseguenze per l’ambiente delle molte dighe previste. Chiedono una moratoria di alcuni anni per studiarle.
Secondo Kraisak Choonhavan, ex senatore e viceleader del Partito Democratico al governo in Thailandia, “gli effetti della diga Xayaburi saranno devastanti per tutti i Paesi, Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam”.
Il World wildlife found avverte che la diga, che sorgerà al confine con la Thailandia, darà il colpo finale al pesce gatto gigante (che raggiunge i 300 kg di peso) e ad altre 41 specie di pesci a rischio estinzione. La diga bloccherà la migrazione dei pesci, con grande danno per la Cambogia che prende dalla pesca l’80% delle proteine consumate. Esperti prevedono che sconvolgerà la vita e i redditi di almeno 200mila thailandesi. A inizio settembre i residenti thailandesi della zona hanno scritto al premier Abhisit Vejjajiva di opporsi alla diga.
Lo scontro è acceso anche perché la Xayaburi, che si prevede produca 1.260 megawatt di energia, sarà la prima di 11 dighe previste nel basso corso del Mekong, di cui 9 nel Laos, che vuole diventare la centrale energetica della regione.
Per disciplinare lo sfruttamento del fiume, Laos, Cambogia, Thailandia e Vietnam hanno costituito la Cfm e la diga Xayaburi sarà la prima a essere esaminata come una questione internazionale. Alla Cfm, costituita nel 1995 ma che si è riunita per la prima volta lo scorso aprile, non hanno aderito la Cina, dove il fiume nasce, né il Myanmar, che partecipano quali osservatori.
La Cina ha già costruito 4 dighe sul Lancang, il corso del Mekong in Cina, tra cui una alta 292 metri. Ne ha in progetto numerose altre.
C’è grande preoccupazione e Philip Hirsch, direttore del Centro Ricerche per il Mekong presso l’Università di Sidney spiega al South China Morning Post che le previste 2 dighe cinesi Xiaowan e Nuozhadu abbasseranno il livello delle acque dell’intero sistema fluviale successivo. Pechino risponde che è stata colpita dalle peggiori siccità da un secolo, con oltre 24 milioni di persone nello Yunnan e nel Guangxi che mancano persino di acqua potabile.
La Cina ha sempre risposto che ogni Stato deve anzitutto considerare i propri interessi nazionali e si rifiuta di discutere in sede internazionale le sue dighe sul Mekong, anche se le conseguenze colpiranno gli altri Paesi. Esperti ritengono questo approccio mortale, perché così ogni Paese non può considerare gli effetti complessivi dei diversi interventi sul fiume.
Prasam Maruekpithak, in un incontro della Cfm, ha denunciato che le 4 dighe cinesi hanno già distrutto l’ecosistema del fiume.
Per questo la Thailandia e soprattutto il Vietnam sono favorevoli a un coinvolgimento degli Stati Uniti, per controbilanciare lo strapotere cinese. Nei mesi scorsi il Segretario di Stato Usa Hillary Clinton si è incontrata a Hanoi con i ministri degli Esteri di Cambogia, Laos, Thailandia e Vietnam per la Lower Mekong Initiative, istituita nel luglio 2009 per favorire la cooperazione nella regione per sanità, istruzione, ambiente e sviluppo delle infrastrutture. Il timore è che Pechino, con le sue dighe a monte, sottragga l’acqua al fiume, specie durante la stagione secca, con effetti mortali per il suo ecosistema e per la vita e le coltivazioni delle popolazioni a valle.