Da venerdì scorso, truppe cambogiane e thailandesi si stanno affrontando lungo la frontiera tra i due paesi, e nonostante il “cessate il fuoco” delle ultime ore la situazione non migliora. Finora ufficialmente si parla di cinque morti, anche se le fonti stampa parlano di un numero molto maggiore su entrambi i fronti. Molti, inoltre, gli sfollati, costretti a lasciare in fretta e furia la propria terra.
La frontiera tra i due stati in alcuni punti non è mai stata delineata precisamente, a causa delle differenti interpretazioni delle mappe francesi di epoca coloniale. Oggetto della disputa l’area (circa 4,6 km²) dove sorge l’antico tempio Preah Vihear. Questo risale all’undicesimo secolo, epoca dell’impero Jemer, ed è stato dichiarato nel 2008 “patrimonio dell’umanità” dall’UNESCO.
Nonostante la sentenza del Tribunale Internazionale di Giustizia, con sede a L’Aja, risalga al 1962 e dichiari il territorio e il tempio facenti parte del territorio cambogiano, ad oggi la Thailandia si rifiuta di riconoscere tale situazione.
Il Primo Ministro cambogiano, Hun Sen, in una dichiarazione televisiva si è rivolto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, affinché adotti le misure necessarie per porre fine all’aggressione thailandese. Ovviamente di tutt’altro stampo le dichiarazioni dell’omologo a Bangkok, che addebita la responsabilità interamente alle truppe cambogiane e che ritenendo la questione puramente bilaterale, giudica non necessaria l’intromissione delle NU.
È della giornata di oggi l’annuncio dell’iniziativa di Marty Natalegawa, ministro degli esteri dell’Indonesia e attualmente presidente dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), che sarà in visita prima a Phnom Penh e poi a Bangkon, con l’intento di ricercare una soluzione diplomatica tra i due paesi.
In Thailandia, intanto, la situazione interna si sta facendo sempre più delicata, viste le richieste e le continue manifestazioni delle nazionaliste “camicie gialle”, che vogliono il recupero del sito da parte del proprio paese, esercitando pressioni sul primo ministro Abhisit Vejjajiva, il quale si trova tra l’incudine ed il martello, politicamente parlando, viste le future elezioni.
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