L’appuntamento elettorale è giunto al termine di un periodo particolarmente turbolento per la Thailandia, sull’orlo della guerra civile nella primavera scorsa allorché le “camicie rosse”, sostenitrici di Thaksin ed espressione della classe rurale del nord-est, sono scese in piazza bloccando la capitale e dando vita a scontri prolungati che sono sfociati in 88 morti e oltre 2000 feriti e terminati solo con la promessa di nuove elezioni.
L’affermazione del Pheu Thai Party (Partito per i Thailandesi), che ha ottenuto 265 seggi su 500, superando il Partito Democratico del Primo Ministro uscente Abhisit Vejjajiva fermo a 159, ha essenzialmente due significati. In primis conferma il forte sostegno popolare di Thaksin, che nell’ultimo decennio ha consentito a quest’ultimo o al partito da lui sostenuto di imporsi ripetutamente nelle tornate elettorali del 2001, 2005, 2007 e 2011. In secondo luogo evidenzia la marcata frattura che caratterizza la società thailandese e che si riflette nella competizione politica. Nel corso del quadriennio 2001-2005 le politiche populiste di Thaksin (riforma sanitaria, sussidi, prestiti agevolati, aumento del salario minimo) portarono sollievo alla popolazione prevalentemente rurale dell’area nordorientale della Thailandia, paese in cui l’agricoltura assorbe oltre il 40% della forza lavoro, il lavoro minorile sfiora il 10% e circa il 27% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno (a parità di potere d’acquisto).
Tali politiche favorirono effettivamente una riduzione della sperequazione del reddito e permisero di abbattere la quota di thailandesi che vivevano con meno di 2 dollari al giorno dal 21% del 2000 al 12% del 2004. La pronta reazione all’indomani dello tsunami del 2004 che causò oltre cinquemila vittime, proiettò poi Thaksin alla rielezione del 2005 e ne consolidò l’influenza.
La situazione attuale thailandese origina principalmente dalla gestione del potere da parte dell’ex premier: in contrapposizione ai tradizionali equilibri del paese egli sistematicamente procedette alla marginalizzazione degli avversari giungendo a minacciare un grado di potere e influenza riservato esclusivamente al sovrano. In reazione a tale accentramento divampò il movimento delle “camicie gialle” filo-monarchiche e nel 2006 l’esercito tramite un colpo di stato incruento mise fine al secondo governo Thaksin.
La frattura, dunque, tra le aree rurali pro-Thaksin e la capitale, tra centro e periferia, si andò acuendo fino ai fatti della primavera 2010 e nelle elezioni del 3 luglio si è materializzata in tutta la sua pregnanza. Yingluck Shinawatra ha ottenuto, infatti, il 40% dei seggi proprio grazie ai voti dei collegi del nord-est nei quali la vittoria del PTT sui Democratici si è concretizzata con un tennistico 104-4.
Meno netta, invece, la prevalenza nella zona centrale ed in quella nordoccidentale in cui il PTT si è comunque affermato con un secco 90 a 38. Nell’area della Grande Bangkok 23 seggi su 33 sono stati conquistati dal PD, ma è nella parte meridionale del paese, laddove la Thailandia si stringe formando uno spartiacque tra Oceano Indiano e Pacifico, che i Democratici hanno fatto incetta di voti conquistando 50 seggi su 53. Tale maggioranza è dovuta alla dura repressione attuata dal governo Thaksin nei confronti della popolazione musulmana della regione a partire dal 2004.
Il paese appare dunque profondamente diviso geograficamente, economicamente, politicamente e culturalmente e proprio nella gestione di tali fattori si misurerà l’azione del prossimo governo. La campagna elettorale di Yingluck si è focalizzata innanzitutto sugli aspetti economici (ha promesso un rialzo del salario minimo giornaliero del 30% portandolo a 300 baht), ma sono le questioni politiche a rappresentare i punti più critici. Il nuovo Primo Ministro dovrà dimostrare di saper tener fede alla promessa che il voto non sarebbe stato indirettamente destinato all’ingombrante fratello. Dovrà gestire la spinosa questione dell’amnistia per le 120 “camicie rosse” ancora in carcere e, soprattutto, dovrà cercare di non compromettere quella che è stata la seconda priorità della sua campagna elettorale, la riconciliazione nazionale, attraverso la riabilitazione politica del fratello Thaksin. Quest’ultimo ha dichiarato che tornerà in patria solo qualora ciò non dovesse mettere in pericolo il delicato equilibrio del paese. Intanto per lui si prospetta un ruolo da esule di prestigio: inviato commerciale all’estero. Soluzione che appare di compromesso dando, da una parte, nuova agibilità all’ex leader e la possibilità concreta di viaggiare senza problemi ed evitando, dall’altra, un rientro prematuro e rischioso per la stabilità interna. Resta da vedere come il nuovo governo si comporterà in merito all’amnistia nei suo confronti e relativamente ai 46 miliardi di baht (circa 1,5 miliardi di dollari) di asset confiscatigli ad inizio 2010.
I segnali registrati nei primi giorni post-elezioni vanno proprio nella direzione di tutelare la stabilità e favorire la riconciliazione: Yingluck ha dichiarato che il prossimo 5 dicembre il governo organizzerà una grande celebrazione in occasione dell’84° compleanno di Sua Maestà il Re Bhumibol Adulyadej, che con 65 anni di regno alle spalle è il sovrano più longevo al mondo.
Tuttavia gli scenari futuri appaiono altamente imprevedibili: il 50,4 degli utenti che hanno risposto ad un sondaggio pubblicato dal Bangkok Post il 4 luglio si è detto convinto che le urne saranno seguite da una nuova esplosione di violenza. Per ora l’esercito si è mantenuto alla finestra, attendendo le mosse del nuovo Primo Ministro e la nomina dei ministri, ma la dichiarazione del Comandante in Capo dell’esercito thailandese che prima delle elezioni ha smentito le voci di un possibile colpo in caso di vittoria della Shinawatra sostenendo che l’esercito aveva già “troppe cose da fare” è emblematica circa la situazione attuale della Thailandia. Del resto da quanto lo stato si è dotato di un assetto parlamentare nel 1932 l’esercito ha portato a termine 11 colpi di stato e tuttora riveste il ruolo, de facto, di arbitro della politica thailandese e garante del Re.