martedì, marzo 20, 2012

Problema benzina in Thailandia

La vignetta comparsa oggi sul Bangkok Post, quotidiano in lingua inglese della capitale thailandese, è una delle più malinconicamente sarcastiche ed efficaci comparse sulla stampa asiatica di questi mesi.

vignetta inquinamento bkk post

Nel disegno, sulle due nuvole nere di smog provocato da benzine poco raffinate e auto che in Europa non passerebbero mai un test di revisione, c’è scritto il prezzo dell’ultimo aumento: 41,50 baht (un euro e qualche centesimo) per la benzina e 32,33 per il diesel. Il vignettista non solo rimarca con ironia il fatto che a prezzi diversi si produce in fondo la stessa quantità di scarichi chimici, ma che i cittadini con problemi respiratori alla guida delle auto stanno di fatto pagando un alto prezzo, incluse le tasse, per essere asfissiati.

La satira ovviamente esagera con i paradossi presi a spunto dai fatti di cronaca. Ma in Thailandia, soprattutto tra chi viene colpito duramente nel bilancio familiare dall’aumento dei prezzi, la preoccupazione principale è quella di come trovare i soldi per continuare a usare l’auto, magari vecchissima, magari necessaria per il proprio business. Pochi si preoccupano di quanto aumenterà l’inquinamento atmosferico, e delle conseguenze per la salute di ciascuno. Cambiare l’auto o anche solo il carburatore costa spesso una cifra eccessiva per chi guadagna una media di 10mila baht, 250 euro al mese, e sono statisticamente tra i più fortunati rispetto a chi non supera i 5, 6mila baht, una grande maggioranza.
Il problema non è chiaramente solo della Thailandia e dell’Asia, dove tra Cina e India viaggia il maggior numero di veicoli inquinanti al mondo. Ma tra il nord della Thailandia, il Myanmar e il Laos si registra un altro fenomeno sempre più preoccupante: molti contadini, che appartengono in genere ad antiche tribù delle minoranze etniche, praticano da sempre la tecnica del “taglia e brucia”, e mandano in fumo specialmente durante la stagione secca (tra gennaio e maggio) il sottobosco, per “ripulire” il terreno e prepararlo al prossimo raccolto. Le fiamme sprigionate di conseguenza si addensano sui cieli privi di confini e invadono tutti questi tre Paesi, costringendo spesso a chiudere addirittura gli aeroporti e a sconsigliare bambini e anziani di uscire all’aperto, per colpa delle pesanti particelle sospese nell’aria e dannose per i polmoni.
fuochi sud est
I
mmagine satellitare ripresa nel 2007 dei fuochi sprigionati nel Sud Est asiatico dalla ripulitura del sottobosco

A proposito della benzina, invece, c’è un’altra fonte di inquinamento “derivata” da esigenze energetiche che non viene sempre citata dalle statistiche, ma contribuisce in maniera determinante a rendere l’aria irrespirabile in parecchi cieli d’Oriente. Da molti anni ha preso piede l’affare di estrarre carburante dall’olio di palma o da altre piante come la Jatropha. Lo chiamano biodiesel, ma in realtà l’uso della parola “biologico” mal s’addice al disastro ambientale prodotto. Per coltivare questi alberi, infatti, si bruciano spesso le foreste pluviali ben più ricche d’ossigeno, distruggendo il polmone verde dell’Est, soprattutto nell’arcipelago indonesiano. Quando ad andare in fumo sono i boschi del Borneo, delle Sulawesi, di Sumatra, le nubi prodotte si espandono fino in Malesia (a sua volta deforestata per lasciare psoto all’olio di palma), a Singapore, nel sud della Thailandia.
Negli anni ’80 – secondo l’Osservatorio Globale delle Foreste – nell’arcipelago indonesiano bruciava una media di 1 milione di ettari di foreste l’anno, con un aumento della media a 1.7 milioni all’inizio degli anni ‘90. Dal 1996 però si è raggiunto e superato il tetto dei 2 milioni di ettari, così che nell’ultimo mezzo secolo sono andati persi in questa Amazzonia d’Oriente quasi il 50 per cento dei boschi.
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