Thailandia: scontro frontale contro la democrazia
A Bangkok si protesta da giorni e ci sono stati scontri. Si sono registrati morti o feriti?
Sì, ci sono già stati scontri e si sono registrati decine di feriti. Alcune persone sono rimaste uccise. Per il momento i numeri sono ancora incerti, ma per ora sembrano confermati almeno tre decessi. Si tratta di due Camicie Rosse e di uno studente dell’Università Ramkhamheang. Le circostanze dei fatti non sono state ancora confermate, ma sappiamo che sabato dei pullman con a bordo delle Camicie Rosse sono stati attaccati dagli studenti della Ramkhamheang, e da allora sono partiti degli scontri andati avanti fino alla mattina seguente. L’università è frequentata soprattutto da studenti del Sud della Thailandia, e la regione è l’unico bastione delle forze di opposizione. (Bangkok è più o meno spaccata in due, mentre il nord e la regione più povera e popolosa, l’Isan, sono bastioni delle Camicie Rosse e del partito al potere, il Pheu Thai.)
Chi sono i manifestanti?
Si tratta spesso delle stesse persone che scesero in piazza con le Camicie Gialle contro i governi Rossi del clan Shinawatra nel 2005, nel 2006, e ancora nel 2008 e l’anno scorso. I manifestanti appartengono in larghissima parte alla borghesia e all’aristocrazia della capitale, ceti ai quali si aggiugono, soprattutto nei fine settimana, qualche migliaio di persone che arrivano dal sud del paese in pulmini organizzati dal ‘partito’. Come chiunque può osservare anche dalle immagini televisive o dalle fotografie pubblicate sui giornali o reperibili via internet, nelle situazioni più ‘normali’ e meno violente, il manifestante medio è donna, di mezza età, e all’apparenza benestante. Esiste, però, anche una minoranza di manifestanti più ‘radicali’ armati di bombe molotov ed esplosivi artigianali. Questi sono in maggioranza uomini tra i 20 e 40 anni, e sono soprattutto loro a partecipare alle azioni più ‘estreme,’ come l’assedio al Palazzo del Governo e alle stazioni della polizia. Infine, come accade a volte in analoghe situazioni di piazza in Thailandia e nel resto del mondo, si teme ci possano essere anche individui, infiltrati o meno, con a disposizione armi ancora più pericolose.
Cosa vogliono le forze anti-governative?
Dicono di voler combattere la corruzione e il “Thaksinismo”, definito anche “regime Thaksiniano,” con il quale intendono il dominio del clan Shinawatra nel paese, al quale rinfacciano buona parte dei mali della Thailandia. Thaksin Shinawatra, ex primo ministro, ora in esilio, venne rovesciato nel 2006 da un colpo di stato militare. E’ all’estero da allora, ma i partiti a lui vicini continuano a vincere le elezioni. Sua sorella Yingluck è oggi il primo ministro in carica, accusata dalle forze di opposizione di essere solamente un “fantoccio.” Addirittura, gli Shinawatra sono sospettati di avere tendenze repubblicane, un’accusa che in questo Regno equivale all’alto tradimento nei paesi occidentali, o alla blasfemia nelle teocrazie islamiche. In pratica, retorica a parte, scendono in piazza con le stesse identiche tematiche del 2005-2006, del 2007-2008, e dell’anno scorso.
Dunque chiedono le dimissioni di Yingluck?
Sì, certo, ma non solo. I leader della protesta hanno già detto e ripetuto che le dimissioni del primo ministro e lo scioglimento delle Camere non li farebbero tornare a casa. Vogliono“sradicare il Thaksinismo” e per far questo, hanno argomentato, occorre“sospendere la democrazia” per un lasso di tempo non ben specificato, affidare il potere a un “Consiglio” di “persone morali” (kon di, letteralmente “persone buone,” come in questo paese vengono definite le persone appartenenti ai blocchi sociali tradizionalmente privilegiati), magari scelte dal Re e da altre altissime personalità non elettive. Si tratta, in parole povere, di dare vita ad un direttorio sottratto al voto popolare che dovrà avere il compito di “fare le riforme.” Questo politburo in salsa thailandese dovrebbe anche apportare delle serie riforme al sistema elettorale e all’impalcatura costituzionale del paese, per “combattere la corruzione” ma soprattutto per impedire che, una volta tornati alle elezioni dopo qualche anno di “sospensione della democrazia”, torni a vincere un partito controllato dagli Shinawatra. (Ricordiamo che il partito del primo ministro Yingluck è appoggiato soprattutto dalle masse povere del nord e del nordest, e la cosa non fa piacere ai borghesi e ai nobili della capitale). In parole poverissime, si tratta di creare un regime che garantisca ai ceti medi e all’aristocrazia di Bangkok di controllare le sorti del paese, come sempre avvenuto in Siam/Thailandia. Per far questo, alcuni dei leader delle Camicie Nere e Gialle hanno proposto un parlamento elettivo al 30% e nominato al 70%. Altri propongono il modello elettorale di Hong Kong, dove ci sono elezioni regolari ma il Capo dell’Esecutivo è scelto da un ristretto numero di persone che compogono il Comitato Elettorale. Questa casta, formata da 1.200 persone, viene scelta con un complesso sistema basato sull’assegnazione di un certo numero di rappresentanti per ogni ordine professionale e per i principali settori economici della società. Questo sistema garantirebbe a determinati settori di essere sovrarappresentati e quindi di controllare lo stato pur essendo una minoranza.
Vogliono farla finita con la Democrazia?
Sì. In termini occidentali possiamo dire che si tratta di un movimento che lotta contro la democrazia, come fecero i fascisti o i comunisti in Europa un secolo fa. Oppure, per dirla con le parole dei sostenitori delle Camicie Giallo-Nere:
“I pigmei della Guinea hanno il loro sistema politico. I cinesi hanno il loro. Gli americani hanno il loro. Il mondo deve accettare che anche noi abbiamo bisogno di un sistema nostro.”
In termini più raffinati, la loro concezione di governo perfetto è simile a quella che i greci antichi avrebbero definito “aristocrazia” (“governo dei migliori”), non certo la“democrazia” (“governo del popolo”). Si tratta dunque di creare un sistema che impedisca alle masse popolari, la maggioranza del paese, di eleggere un ‘loro’ governo, e dunque che permetta all’elite di Bangkok, che come detto si auto-definisce kon di, di controllare il paese pur essendo una minoranza. E poi bisognerà definire questo sitema con un eufemismo, perchè parole come dittatura o regime autoritario suonano male. Magari lo si potrà chiamare “Democrazia alla Thailandese,” termine tra l’altro già coniato dal feldmaresciallo Sarit Thanarat, dittatore del paese mezzo secolo fa.
Perchè occupano ministeri e palazzo pubblici?
Per distruggere la funzionalità del governo e creare una situazione di ingovernabilità che favorisca l’intervento dell’esercito, come avvenuto con il colpo di stato del 2006, o della magistratura, come avvenuto con la dissoluzione dei partiti Thai Rak Thai, nel maggio 2007, e Partito del Potere Popolare, nel dicembre 2008, decisione quest’ultima che spianò la strada al partito di Suthep, oggi capopolo della protesta, che prese il potere senza passare per il voto popolare.
Cos’altro hanno fatto i manifestanti in questi giorni?
I leader hanno guidato i manifestati a fare delle ‘visite’ ai quartier generali della polizia e delle forze armate per chiedere loro di passare dalla loro parte ed appoggiare l’insurrezione. Ovviamente hanno anche cercato di mettere la mani sui mezzi di comunicazione. I manifestanti hanno accerchiato i palazzi delle principali televisioni nazionali e Suthep ha chiesto alle televisioni pubbliche di smettere di produrre informazione ‘filo-governativa,’ e di appoggiare la sua battaglia. Alcuni giornalisti, thailandesi e stranieri, sono stati anche attaccati verbalmente e, in due casi, fisicamente. La vittime sono state il reporter tedesco Nick Nostitz e il corrispondente di Voice of America, Steve Herman. Nostitz è stato aggredito mentre si trovava ad una manifestazione, dove è stato identificato da un parlamentare del “Partito Democratico” che lo ha indicato dal palco definiendolo un “giornalista delle Camicie Rosse.” Immediatamente un gruppo di manifestanti hanno attaccato Nostitz verbalmente e fisicamente. Dopo qualche pugno e tanta paura, gli uomini della sicurezza hanno salvato il giornalista dalla folla inferocita. Herman invece è stato attaccato da una donna che gli ha dato in testa un cartello con su scritto “BBC Shame.”Intimidire i media e controllare l’informazione è una pratica standard in ogni colpo di stato.
Cosa sta facendo il Governo per fronteggiare la situazione?
Il primo ministro Yingluck, che gode di una larga maggioranza parlamentare in seguito alla vittoria elettorale del 2011, ha invocato l’Internal Security Act (ISA), uno strumento simile ma meno drastico rispetto alla stato di emergenza, che permette di dare alla polizia maggiore autorità per controllare eventuali situazioni pericolose. Allo stesso tempo, il Governo ha promesso di non utilizzare la forza contro i manifestanti, come invece fatto nel 2010 dal precedente governo del “Partito Democratico” guidato da Abhisit Vejjajiva, che autorizzò l’esercito a sparare contro i civili, causando la morte di quasi 100 persone, tra le quali il reporter italiano Fabio Polenghi. Al contrario, nei giorni scorsi il Governo Yingluck e le forze dell’ordine hanno deciso di evitare ogni scontro con i manifestanti, fino al punto di permettere loro di invadere ed occupare una serie di Ministeri, palazzi pubblici, ed addirittura delle aree militari. Yingluck sta facendo fronte alle proteste con questo approccio molto soft per evitare di ‘sporcarsi le mani,’ vuoi per ragioni morali ma vuoi anche per il timore che duri confronti tra le forze dell’ordine e i manifestanti finirebbero inevitabilmente per ritorcersi contro il Governo stesso. Oggi, durante l’assedio al Palazzo del Governo, per respingere i manifestanti le forze di sicurezza hanno utilizzato gas lacrimogeni e proiettili di gomma.
Cosa fa l’esercito?
Per molte settimane l’esercito è rimasto in silenzio. Alla fine, venerdì scorso, il capo delle forze armate, generale Prayuth Chan-ocha, ha rilasciato un intervista nella quale ha chiesto alle forze antigovernative di “non costringere l’esercito a prendere posizione.” I motivi non sono chiari, ma può essere abbozzata un’analisi. Nel recente passato, l’esercito è stato un nemico del partito rosso del clan Shinawatra, tanto da defenestrare il primo ministro Thaksin con il colpo di stato del 19 settembre 2006, favorire il ribaltone del 2008 e poi fare una non troppo celata campagna elettorale contro Yingluck nel 2011. Ma da allora, molte cose sono cambiate. Secondo alcune fonti, l’esercito e il clan Shinawatra avrebbero stretto un accordo e trovato un modus vivendi. Il patto si incentrerebbe, ovviamente, sugli affari dell’esercito thailandese. Il Siam/Thailandia è un paese che nella sua storia moderna non ha praticamente mai fatto guerre, se si eccettuano piccolissime comparsate nella Prima e Seconda Guerra Mondiale. L’esercito non ha mai, quindi, avuto una funzione di difesa dai nemici esterni. Al contrario, l’esercito ha sempre avuto un ruolo politico e di difesa dai nemici politici interni. I quasi venti colpi di stato militari tentati o riusciti a Bangkok dal 1932 al 2006 lo dimostrano. Partendo dalla constatazione di questa sua funzione politica, non stupisce dunque che l’esercito thailandese sia tra i più corrotti e, proporzionalmente, tra i più ricchi al mondo. Gli affari e gli interessi dei militari spaziano dal controllo di tre televisioni nazionali (dove uniscono la propaganda autoritaria a terribili telenovele in salsa sudest asiatica), a centinaia di radio locali, banche, istituti, edifici, terra, e controllo dei traffici di confine, leciti e soprattutto illeciti. Il patto Shinawatra-militari, si ipotizza, sarebbe di reciproco interesse: il governo avrebbe promesso di non intromettersi negli affari degli uomini in uniforme, e in cambio gli eroici difensori della patria non ripeteranno la processione di carri armati nella capitale del settembre 2006. Se questo patto esiste veramente, come crediamo, si potrebbe ipotizzare che questa volta i militari non appoggieranno le proteste ultra-monarchiche e anti-thaksiniane. Ma è anche vero che l’esercito è un’istituzione complessa, dove agiscono più fazioni, che possono stringere alleanze personali con diversi blocchi di potere, spesso in competizione tra loro. Il comportamento dell’esercito, quindi, nonostante l’intervista rilasciata da Prayuth, rimane un’incognita. E forse questa è una delle ragioni per le quali il Governo farà di tutto per tenere soldati e carri armati lontani dalla capitale.
E la monarchia?
L’anziano Re Bhumipol, o Rama IX, ha lasciato da poche settimane l’ospedale di Bangkok, nel quale ha vissuto per anni per ragioni mai veramente chiarite. Ha lasciato Bangkok e al momento si trova in uno dei suoi palazzi nella località turistica di Hua Hin, poche ore a sud della capitale. Per via di una legge sulla lesa maestà tra le più draconiane dell’universo, in Thailandia è permesso parlare del Re e della monarchia solo in toni apologetici, e assolutamente mai critici o inquisitori. I libri di storia dipingono i nove re della dinastia regnante, al potere dal 1782, come uomini eccezionalmente forti, morali, religionsi, seri, ed intelligenti. Tutte le cose più positive avvenute in questo Regno sono avvenute grazie alla loro scaltrezza e magnanimità: l’abolizione della schiavitù nel 1905 da parte di Re Chulalongkorn il Grande (Rama V), la “democrazia” generosamente “concessa” da Re Prajadjipok (Rama VII) nel 1932, il fatto che il Siam/Thailandia non sia stato “mai colonizzato”, per non parlare delle strade, dei ponti, delle dighe, delle scuole e delle università, tutte cose “generosamente concesse” dagli infaticabili sovrani. Tutto quello che non va bene, ovviamente, non ha nulla a che fare con i sovrani o l’istituzione monarchia, ma è sempre colpa di altri, come ad esempio i politici, gente che non segue con attenzione gli indirizzi dei monarchi illuminati. Manco a dirlo, i re sono anche super-uomini e semi-divini, e sono i garanti in terra della religione perfetta, il Buddhismo Theravada in salsa thailandese. Un altro dogma di fede della vulgata ufficiale è la “apoliticità” della monarchia. Le istituzioni di socializzazione (monaci, scuole, televisioni, ecc.) spiegano che la monarchia è altro rispetto alla politica, è sopra, e si limita a fare da garante delle regole del gioco e della Costituzione (anche se il Regno ha cambiato 17 costituzioni negli ultimi 81 anni, spesso per via dei colpi di stato, in seguito ai quali i nuovi dittatori stracciano la vecchia Carta e se ne scrivono una più calzante i propri interessi). Nonostante la visione ideologica della monarchia come simbolo unificatore della nazione e garante imparziale delle regole del gioco, è difficile non prendere atto che la Corona detiene un forte potere di ‘indirizzo politico,’ datogli perlomeno dalla sua ‘altissima autorità.’ Ovviamente per evitare spiacevoli conseguenze non riveleremo le informazioni contenute nei cablogrammi rivelati da Wikileaks o nei libri e in altre pubblicazioni censurate in questo paese, ma ci limiteremo a far notare che la Corona ha il potere di firmare o meno le leggi, e di riconoscere o meno un governo, che sia esso risultato di libere elezioni o di colpi di stato. Purtroppo non possiamo in questo luogo dilungarci in temi pericolosi per la nostra libertà personale; semmai invitiamo il lettore a informasi su quali personalità politiche e/o militari siano state benedette dalla massima istituzione nazionale thailandese nell’arco degli ultimi sei o sette decenni, e formarsi una propria opinione a riguardo.
Per tornare alla domanda, che riguarda il ruolo della Corona rispetto alla protesta in corso, tutto quello che possiamo dire è che il Re non ha rilasciato commenti, così come non rilasciò commenti in occasione di altri eventi storici, quali ad esempio i fatti del 2010. Si è fatto sentire, invece, il Principe Ereditario Maha Vajiralongkorn, che secondo il Bangkok Post avrebbe espresso preoccupazione per la situazione in corso, chiedendo a Governo e manifestanti di sedersi ad un tavolo e far partire colloqui. Colloqui che per il momento i leader della protesta, Suthep in primis, si dicono assolutamente non interessati a cominciare.
Cosa succederà?
Domenica Suthep ha chiesto uno sciopero generale per il giorno seguente, richiesta totalmente ignorata dal popolo thailandese, segno che nel paese sudest asiatico non ci sarà quel ”colpo di stato del popolo” promesso dall’ex vice-primo ministro trasformatosi in capopolo. Ma Suthep può ancora farcela. Potrebbe defenestrare il primo ministro e prendere il potere attraverso il caos, nel caso si registrino seri episodi di violenza e il governo si dimostri o venga giudicato non più in grado di gestire la situazione. Oppure le forze anti-governative potrebbero prendere il potere con l’aiuto di una istituzione dello stato, quale l’esercito, la magistratura, o la monarchia. Qualunque sia l’esito dell’attuale ennesima crisi politica, le gravi disuguaglianze economiche e le profonde divisioni politiche, sociali, e geografiche continueranno a caratterizzare la nazione asiatica per molti anni a venire. Le ideologie oramai fuori dalla storia, l’odio di classe e la lacerazione del fragilissimo tessuto democratico continueranno a spingere concezioni di società sempre più lontane verso uno pericolosissimo scontro frontale.
Fonte immagini: @zenjournalist, Bangkok Post, @nuling, Weerid_ThaiPBS, Asian Correspondent, Reuters, @photo_journo.