martedì, settembre 11, 2007

Futuro della Thailandia?

Fonte: Equilibri.net (10 settembre 2007)

Thailandia: un paese spaccato

Dopo la ristretta approvazione popolare della nuova Costituzione, la Thailandia si prepara a vivere uno dei più decisivi appuntamenti elettorali; il paese è spaccato in due, politicamente e socialmente, in una lotta per la sopravvivenza politica dei due schieramenti. Nel frattempo, il malcontento non conosce tregua: le piazze continuano a riempirsi, rendendo la situazione quanto mai instabile.

Nicola Giordanella

Dalle urne due paesi

Il risultato del referendum popolare per l’approvazione della nuova costituzione è inequivocabile: la Thailandia è un paese con due anime politiche antitetiche, che lottano per la sopraffazione reciproca, relegando la vita politica del paese ad un continuo fare e disfare, con le prevedibili conseguenze sociali: empasse delle riforme e dello sviluppo economico. Dei circa 40 milioni di tailandesi chiamati alle urne, solo 26 milioni hanno usufruito del proprio diritto di voto, con il seguente risultato: il 57% dei votanti ha approvato la carta, mentre un compatto 41% ha detto no. Il gap di voti è decisamente ristretto per poter conferire ad una carta costituzionale la giusta forza rappresentativa e la legittimità necessaria per poter considerare questo passaggio istituzionale come un primo punto fermo per il futuro di questo paese. Il risultato riapre la corsa verso le elezioni politiche previste per dicembre: il movimento liberista, guidato dal PPP (People’s Power Party), erede politico del TRT (Thai Rack Thai), partito dell’ex-premier Thaskin Shinawatra, ora in esilio, ha dimostrato di avere una base forte e viva, nonostante tutti gli avvenimenti degli ultimi mesi, soprattutto nel nord-est del paese, vera roccaforte del Partito Popolare. Dalle urne dello scorso 19 agosto è uscito un paese fortemente diviso in due, deludendo le aspettative della attuale giunta militare, promotrice della nuova carta, che prevedevano una più ampia concretizzazione del consenso popolare, dopo il grande sollievo della piazza che ha accompagnato l’ultimo colpo di stato. Questo voto, quindi, può essere considerato storicamente importante ma assolutamente non decisivo: lo scontro fra l’anima progressista e l’anima più conservatrice della Thailandia, è ancora aperto.

Lotta serrata

La debolezza del potere esecutivo, e la forte enfasi data alla democraticità e alla importanza politica delle manifestazioni popolari (a scapito del governo e delle camere) sono le principali caratteristiche di questa nuova carta, caratteristiche che sono alla base della corsa alle elezioni di dicembre. L’attuale giunta, sostenuta dalle alte gerarchie dell’Esercito, e con un ampio consenso popolare da parte dell’anima conservatrice del paese, vede nel prossimo appuntamento elettorale l’occasione per scalzare definitivamente il movimento liberale: l’attuale assetto istituzionale consente di scavalcare l’esecutivo, e quindi, anche in caso di vittoria del PPP, il controllo del paese potrebbe tornare presto in mano ai conservatori. Non è difficile prevedere che questa Costituzione possa essere un primo passo di una serie di riforme istituzionali atte ad evitare nuovi casi Thaskin: alla vittoria del DP (Democratic Party) sicuramente farebbero seguito ulteriori riforme politico-istituzionali, finalizzate a blindare lo status-quo. La corsa del PPP, invece, è una lotta per la sopravvivenza: mantenere un ampio consenso nelle prossime elezioni significherebbe tenere vive le speranze di esistere, mentre un passo indietro, un ridimensionamento del consenso, decreterebbe la morte politica del movimento popolar-liberale del paese.

La situazione non è facile per i popolari: l’attuale assetto costituzionale soffoca chi non ha un ampio consenso dal basso, o comunque chi non riesce a manipolarlo: durante il recente colpo di stato, che ha decretato la fine dell’ultimo governo popolare regolarmente eletto, pochissime sono le state le voci che si sono alzate in difesa delle riforme proposte dal TRT. Chaturon Chaisaeng, l’ex leader ad interim del TRT, ha dichiarato che “l’attuale carta costituzionale ha avvelenato la dialettica politica del paese” con un assetto istituzionale molto sbilanciato, ma che il PPP sta tenendo testa “grazie ad un risultato elettorale – quello del 19 agosto – che è inequivocabilmente forte”. Quello di dicembre sarà quindi un round decisivo per la vita politica della Thailandia.

Tutti in piazza

Gli articoli 76 e 79 della vigente Costituzione affermano che, “lo Stato promuove e incoraggia la pubblica partecipazione […] per le decisioni politiche e […] per la difesa del patrimonio nazionale”. Secondo gli esperti queste norme sono state palesate e rafforzate per garantire alla attuale giunta il ricorso massiccio alle manifestazioni di piazza, come era successo poco prima del colpo di stato del settembre 2006: una sorta di tutela se le elezioni del prossimo dicembre riservassero al DP delle brutte sorprese. Ma nei fatti, queste norme, hanno scatenato le piazze, e rischiano di rendere ingovernabile il paese. Lo scorso 25 agosto più di 10.000 persone sono scese in piazza nella capitale per protestare contro il governo e contro i progetti edilizi che riguardano il nord-est del territorio tailandese; nello stesso giorno, circa 2.000 studenti manifestavano nella piazza del municipio di Hat Yai, dove era in corso una conferenza internazionale sul progetto del gasdotto Thai-Malaysian: i disordini sono stati tali da far sospendere i lavori fino a data da destinarsi; il progetto multi-miliardario rischia ora di essere rimesso in discussione. Questi avvenimenti hanno aperto il dibattito su l’opportunità di una così marcata propensione costituzionale alle forme della democrazia diretta: in linea di principio, infatti, nessuno si oppone, ma bisogna valutare quanto possa essere costruttivo per il paese avere un esecutivo debole, in balia della piazza. Sicuramente per il DP, che ha cavalcato e strumentalizzato le grandi manifestazioni del 2006, e che ne ha riconosciuto l’importanza sulla carta costituzionale, questa situazione potrebbe essere vantaggiosa, ma per il paese potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio.

La terza Thailandia

Se dalle urne sono uscite due anime politiche contrapposte, in cabina elettorale non ha presenziato la terza parte della Thailandia: circa 14 milioni di persone non hanno votato, pur avendone facoltà. Questo dato è significativo e va analizzato per cercare di capire a fondo le dinamiche politico-sociali di questo paese. I non votanti provengono per lo più dalla fascia più povera della popolazione tailandese, che vive nelle zone più arretrate, e che difficilmente può essere raggiunta dai media nazionali e, di conseguenza, dal dibattito politico. Ma la causa che sicuramente li tiene lontani dalla politica si chiama povertà. Povertà e prostituzione, binomio che nel “paese della libertà” ha un grado di ovvietà che sfiora la tautologia. In questi 14 milioni di non votanti, però, non sono contati i 2,8 milioni di minori (8% della popolazione attiva), sfruttati nel colossale business del sesso: il mercato della prostituzione ha fatto si che Bangkok diventasse la capitale mondiale del turismo sessuale, e che l’economia tailandese potesse sopravvivere allo Tzunami e alla depressione economica che regna sovrana nella regione del Sud-Est Asiatico. Il 60 % del PIL della Thailandia deriva dal turismo, un turista su cinque è un turista del sesso. Le conseguenze sono immediate: in Thailandia esiste un terzo paese, che non è rappresentato da nessuna forza politica, che non ha visibilità e spazi politici, ma che quotidianamente salva la Thailandia dalle derive del terzo mondo. La lotta serrata tra PPP e DP, quindi, sta oscurando i gravissimi problemi sociali cui bisognerebbe far fronte nell’immediato. In quest’ottica, i continui sbilanciamenti istituzionali non possono che essere un danno: le elezioni di dicembre saranno positive solo se permetteranno un assetto stabile e operoso, a prescindere dal colore partitico.

Conclusioni

Dalle urne è uscita una Thailandia decisamente frammentata e dal futuro quanto mai incerto. L’approvazione della Costituzione in sé, può essere considerata come un fatto trascurabile (anche perché è la dodicesima dal dopoguerra), o comunque di importanza secondaria; le elezioni politiche del prossimo dicembre potrebbero rivelarsi il vero punto di svolta per il paese.

Non bisogna dimenticare la situazione della Corona Tailandese: l’anziano sovrano, Bhumibol Adulyadej, viste le precarie condizioni di salute in cui versa, potrebbe lasciare il trono in tempi molto brevi; questo sarà un passaggio cruciale per il paese, e l’esecutivo potrebbe giocare un ruolo chiave in quel delicato momento istituzionale e sociale. Il DP corre per mantenere e proseguire la blindatura dello status quo, mettendo al sicuro il paese da riforme troppo occidentalizzanti, e per evitare una altro caso Thaksin. Il PPP, erede del TRT, corre per la sopravvivenza politica innanzi tutto, e per poter cambiare la carta costituzionale, prima che sia troppo tardi. Mentre i partiti si sfidano, i poveri del paese aspettano, impotenti: la situazione di stallo politico-istituzionale sicuramente non giova al progresso del paese, e tanto meno alla tutela dei meno abbienti. La loro prospettiva più rosea è che presto si possa trovare un assetto amministrativo stabile. Solo allora potranno sperare che le loro sofferenze vengano per lo meno riconosciute.


Fonte: Equilibri.net (10 settembre 2007)
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