scritto per Peace Reporter da
Alessandro Ursic
Le macchine di traverso, le barricate, i Suv che girano per la città con i militanti a bordo e migliaia di persone a sventolare i loro battimani di plastica: il caos quotidiano è improvvisamente ritornato a Bangkok, ma i protagonisti sono cambiati. Non sono più i "gialli" a manifestare, ma i "rossi" sostenitori dell'ex premier in esilio Thaksin Shinawatra. Protestavano da mesi per chiedere le dimissioni del governo di Abhisit Vejjajiva, ma da ieri sembrano aver deciso di alzare il livello dello scontro. Utilizzando gli stessi metodi dei loro rivali.
L'enorme rotonda del Victory Monument, un'intersezione nevralgica a nord del centro di Bangkok, è stata per un giorno in mano alle "camicie rosse". Senza preavviso, giovedì pomeriggio decine di tassisti hanno chiuso al traffico le strade di accesso, e lentamente nella piazza vuota si sono riversati migliaia di militanti. In serata, altri incroci fondamentali per il traffico della capitale sono stati bloccati dai manifestanti. La polizia non ha mosso un dito per cercare di contrastare queste azioni. Ma il primo ministro Abhisit ha anticipato a venerdì il ponte di Songkran, il capodanno thailandese che durerà per tutta la prossima settimana, per fare in modo che i blocchi stradali non mandassero la capitale nel completo caos. Come risultato, oggi a Bangkok c'è un'atmosfera irreale: molte strade sono vuote per i blocchi, ma anche in centro c'è poca gente in giro. Questo è il periodo che centinaia di migliaia di lavoratori aspettano per tornare nella propria città e rivedere la famiglia. Vale anche per le "camicie rosse", molte delle quali vengono dal povero e popoloso Isaan, il nord-est. Anche per questo, nel pomeriggio di venerdì hanno deciso di "liberare" il Victory Monument, e ritrarsi nei loro bivacchi intorno alla sede del governo circondata da due settimane.
Quando se ne andranno? A sentir loro, solo quando saranno soddisfatte tre condizioni: dimissioni di Abhisit e del consigliere reale Prem Tinsulanonda (accusato di aver orchestrato il colpo di stato del 2006 contro Thaksin), per andare a nuove elezioni. Tutte opzioni che il governo ha rigettato, e non deve sorprendere. Abhisit sa di avere scarse speranze di prevalere in elezioni nazionali. E' popolare solo a Bangkok, mentre nell'Isaan e nel nord trionferebbe qualsiasi candidato vicino a Thaksin. Abhisit è al potere dallo scorso dicembre solo grazie a un ribaltone parlamentare, dopo che la Corte costituzionale aveva sciolto il governo di Somchai Wongsawat (cognato di Thaksin) e i tre maggiori partiti della ex maggioranza. Fu quella sentenza a porre fine, improvvisamente, al blocco degli aeroporti di Bangkok per opera dei "gialli" del Pad (Alleanza del popolo per la democrazia). Le "camicie rosse" lo definiscono ancora un "colpo di stato giudiziario", e in sostanza tutti gli osservatori intravedono un sostegno dietro le quinte da parte dell'establishment.
Le "camicie rosse", quindi, non godono dello stesso tacito appoggio nei piani alti, e per questo motivo forse non possono permettersi di tirare troppo la corda con azioni del genere. Che succederà se le forze dell'ordine decidessero di non poter tollerare i blocchi stradali? "Continueremo a lottare contro questo governo illegittimo", dice entusiasta una donna di mezza età nel grande bivacco del Victory Monument. Ma questo è un esercito di poveri, e praticamente disarmato - a differenza dei "gialli", che avevano squadre di picchiatori armati di bastoni e mazze da golf. Con la forza della massa, hanno però riportato quell'instabilità già vista lo scorso autunno. E quando si domanda loro se non pensano che questi metodi possano farli diventare "antipatici" agli occhi di molti thailandesi, rispondono con gli stessi slogan che usavano i "gialli": ci scusiamo per i disagi, ma è una misura necessaria contro un governo illegittimo. Sono le due facce della Thailandia di oggi, e si disprezzano a vicenda. Ma in giorni come questi sembrano così simili. Cambia solo il colore.