Martino nella splendida Baia di Phang-nga
La grande richiesta di crostacei sta provocando la devastazione degli ambienti vegetali che si sviluppano nelle acque salmastre Allevamenti di gamberi uccidono le foreste di mangrovie fino a non molti anni fa i gamberetti rappresentavano quasi una rarità culinaria, poi le nostre tavole sono state letteralmente coperte di questi piccoli crostacei. Ma dietro a tanta disponibilità c' è un disastro ambientale di immani proporzioni.
Gli allevamenti di gamberetti, in Thailandia, nelle Filippine, in Indonesia e in Ecuador, costituiscono infatti la causa principale della distruzione della foresta di mangrovie, uno degli ambienti più ricchi di vita del nostro pianeta ed eccezionale filtro contro l' interramento delle coste. Le foreste di mangrovie sono formazioni vegetali tropicali formate da svariate specie di alberi o arbusti che crescono lungo i litorali o gli estuari dei fiumi, su fondali bassi e melmosi, con le radici letteralmente affondate in acque più o meno salmastre. Quando il livello dell' acqua scende per effetto della bassa marea le radici delle mangrovie intricate e fortemente arcuate rimangono esposte all' aria permettendo alla pianta di respirare; il sale assorbito dalle radici viene espulso dalla parte inferiore delle foglie.
L' allarme, lanciato anche dal Rapporto sullo stato della Terra 2000 pubblicato dal Worldwatch Institute diretto da Lester R. Brown, nasce dal fatto che negli ultimi 50 anni il Sudest asiatico ha perso la metà delle sue riserve di mangrovie; nelle coste indonesiane il calo di questa fondamentale risorsa è di un terzo, mentre nelle Filippine è addirittura dei tre quarti. «La diffusione vertiginosa di allevamenti di gamberi - spiega Renato Novelli, docente di sociologia delle relazioni etniche della Facoltà di economia dell' università di Ancona -, divenuta nell' ultimo decennio una delle attività prevalenti in tutto il Sud della Thailandia, distrugge le aree occupate dalla foresta di mangrovie. Si taglia la foresta e anche i pochi metri quadrati di campi di riso di fronte al mare sono stati trasformati in "fabbriche" di gamberi». «Gli allevamenti sono costituiti in genere da vasche larghe dieci metri e lunghe trenta - continua Novelli - dove viene immessa acqua di mare. Mulinelli a pale contribuiscono a muovere e ossigenare l' acqua stagnante, che viene rigettata in mare e cambiata con altra da questo proveniente a ritmi intensi.
Nelle vasche vengono immessi mangimi ad alto potere nutritivo, antibiotici per evitare epidemie tra i gamberi e pesticidi appositamente studiati per limitare la presenza di organismi indesiderabili. Lo specchio di mare prospiciente risulta danneggiato dalla continua immissione delle acque usate. Le falde acquifere sono inquinate, i terreni circostanti salinizzati. Per chilometri e chilometri la foresta di mangrovie è abbattuta per fare posto agli allevamenti». Un altro impatto negativo è l' interramento. La zona di acque poco profonde che si trova tra la costa e le formazioni coralline è soffocata da tonnellate di una massa melmosa costituita da deposizioni inquinanti provenienti da attività umane. Alla costa denudata dalle mangrovie, che filtrano le deposizioni di sedimenti, si associa infatti la distruzione di un altro filtro, le distese di erbe acquatiche che offrono un riparo essenziale agli avanotti e ai giovani di molte specie. Probabilmente il 70 per cento di tutti i pesci di importanza commerciale del Sudest asiatico trascorre parte del ciclo vitale il questi "prati acquatici" (un quarto delle specie ittiche del pianeta). «Allevare i gamberetti è un' attività molto redditizia - spiega ancora Novelli -. Le vasche vengono sorvegliate da guardiani reclutati altrove, spesso forniti dalla malavita. I cicli di allevamento durano circa sette anni, dopo resta un deserto con il terreno salinizzato dove non si coltiva più nulla. Bisogna allora cercare altri luoghi e abbandonare quelli sfruttati.
Un aspetto incoraggiante in tanto disastro e che nella costa orientale della Thailandia si sta ora operando per il risanamento di questi terreni, con progetti promossi dalle organizzazioni internazionali per l' ambiente».
Spampani MassimoArticolo apparso sul Corriere della Sera