Se la Thailandia in un momento di recessione mondiale si gioca la carta “TURISMO” le ripercussioni sociali saranno fortissime, portando al tracollo tutto il sistema.
Io vivo e lavoro in Phuket, gestiamo una piccola agenzia viaggi e Guest House, questa stagione è cominciata male e finita peggio. Nel nostro piccolo tiriamo a campare, e voli Charter come Blu Panorama ci hanno salvato, ma le attività che ho visto chiudere negli ultimi mesi sono parecchie.
Parlando con parecchi Thai che gestiscono risto e hotel questa stagione è da considerarsi la peggiore dopo quella del 2004 causa Tsunami.
Phuket è una meta turistica tra le più conosciute ed apprezzate al mondo, voglio rassicurare tutti quelli che mi hanno scritto via mail che la situazione sull'isola è di PACE ASSOLUTA!
Chi deve partire può farlo senza timori.
Per Bangkok e problemi di instabilità politica Thai la risoluzione è lontana, quindi chi non si fida, ha paure, ansie, meglio cambiare meta per le vacanze.
Martino M. Rawai-Phuket
Scritto per peacereporter.net da
Alessandro Ursic
Nelle strade semivuote di Bangkok ci sono ancora carcasse di bus carbonizzati, alberi spezzati per farci le barricate, pietre lanciate dai manifestanti contro i soldati. Ma le "camicie rosse", i sostenitori dell'ex premier Thaksin Shinawatra, hanno smesso di combattere per manifesta inferiorità numerica. Questa mattina, al termine di 48 ore da guerra civile nella capitale thailandese, i loro leader hanno esortato le poche migliaia di attivisti rimasti a disperdersi, abbandonando l'accampamento intorno alla sede del governo presidiato dal 26 marzo. Oltre alle casse d'acqua e ai sacchi di rifiuti già marci sotto il cocente sole d'aprile, rimangono due morti e oltre 120 feriti, nonché divisioni ancora più marcate tra la popolazione.
La situazione è degenerata sabato mattina, quando le proteste dei manifestanti a Pattaya hanno costretto il premier Abhisit Vejjajiva a cancellare il vertice di 16 Paesi asiatici previsto nella località turistica per il fine settimana. Uno smacco per Abhisit, che in cinque mesi di governo - nato grazie a un ribaltone parlamentare - aveva coltivato un'immagine da leader pacato e disposto a venire incontro alle richieste dell'opposizione. Così, domenica il primo ministro ha perso la pazienza: stato di emergenza a Bangkok e in cinque province limitrofe, soldati nelle strade della capitale. I "rossi" l'hanno presa come una dichiarazione di guerra: incitati dal loro idolo Thaksin, che dall'esilio li esortava a combattere, si sono sparpagliati per la capitale bloccando strade, attaccando il convoglio di Abhisit, in sostanza abbandonando l'atteggiamento pacifico tenuto finora.
La battaglia più intensa si è verificata all'alba di lunedì presso un incrocio stradale occupato dai "rossi", armati di bombe molotov e bastoni: le truppe hanno sparato lacrimogeni e proiettili veri in aria, e gli scontri hanno causato 70 feriti. Gruppi di dimostranti, ormai decisi a seminare il caos, hanno continuato a erigere barricate dando alle fiamme bus e pneumatici, in due casi difendendosi dietro autocisterne di gas liquido. I militari hanno progressivamente liberato le strade, costringendo i manifestanti a ritirarsi nel loro bivacco intorno all'ufficio di Abhisit. Ma proprio lì, nelle aree popolari abitate da persone che non si identificano né con loro né con i "gialli" monarchici, le "camicie rosse" hanno trovato un nemico che non si aspettavano: i residenti del posto, esasperati dalla violenza vicino alle loro abitazioni. E' qui, in scontri tra civili, che sono morte due persone.
Circondati da sempre più soldati, calati di numero perché molti di loro hanno preferito festeggiare l'anno nuovo thailandese in famiglia, incolpati ormai da tutti i media thailandesi (che accusano di parzialità), forse sorpresi dalla fermezza dimostranta da Abhisit, e probabilmente orfani di molti simpatizzanti che non condividevano la virata violenta del movimento, i sostenitori di Thaksin hanno quindi detto basta. "Per evitare vittime", hanno detto i loro capi. Fino a ieri promettevano di resistere con la forza dei numeri alle armi dei soldati; ora, mentre gli abitanti della zona applaudono i militari che muoiono di caldo nelle loro divise, stanno già smontando il bivacco all'esterno della sede del governo.
All'esterno, appunto, simbolo del fallimento della protesta. Lo scorso autunno, per tre mesi e mezzo i "gialli" avevano creato una loro cittadella anche nel cortile di complesso, dove i "rossi" non sono mai riusciti a penetrare. Che siano stato merito loro, o del blocco giudiziario-militare che si sospetta li appoggiasse dietro le quinte, il risultato non cambia. La protesta gialla è riuscita a far cadere il governo nemico, quella rossa no. E ora, dopo aver adottato tattiche anche più violente dei tanto odiati rivali, sembra aver perso quell'immagine di simpatica genuinità che aveva guadagnato con mesi di manifestazioni pacifiche.
Fonte: Ansa.it
BANGKOK - Due giorni fa volevano combattere fino alla ''rivoluzione'': ma, armate 'solo' con bottiglie incendiarie e sopraffatte dalla risposta compatta dell'esercito, questa mattina le camicie rosse hanno scelto di porre fine alla loro protesta contro il primo ministro thailandese Abhisit Vejjajiva, dopo che ieri gli scontri avevano causato due morti e 123 feriti a Bangkok. Nel frattempo, un tribunale ha emesso un mandato di arresto contro l'ex premier Thaksin Shinawatra, che dal suo esilio volontario a Dubai ha incitato i suoi sostenitori alla rivolta, e dodici collaboratori.
Senza che i soldati posizionati nell'area sparassero un colpo, questa mattina i circa duemila manifestanti rimasti hanno abbandonato l'accampamento attorno alla sede del governo che occupavano dal 26 marzo, chiedendo nuove elezioni. I loro leader, cinque dei quali si sono consegnati alla polizia, hanno esortato la folla - una frazione dei 100 mila scesi in piazza mercoledi' scorso - a lasciare il bivacco. Le operazioni di sgombero si sono svolte senza intoppi e la situazione sta lentamente tornando alla normalita', con le strade attorno ai luoghi dei disordini ancora presidiate dai militari. Tuttavia, lo stato di emergenza proclamato domenica non e' stato ancora revocato.
Sconfitto sul campo, il movimento di opposizione - che promette comunque di tornare in piazza - rischia ora ripercussioni anche sul piano legale. Thaksin e i suoi fedelissimi sono stati accusati di assembramento illegale, minaccia di violenza e attentato alla pace sociale, reati passibili di cinque anni di reclusione. L'ex premier, gia' condannato in contumacia per abuso di potere e con altri processi per corruzione pendenti, e' inoltre accusato di aver incitato i suoi sostenitori a violare la legge e a provocare disordini: in caso di condanna rischierebbe sette anni di carcere.
Uscito rafforzato dalla sua gestione della crisi, lodata dalla maggioranza degli osservatori, in un discorso televisivo Abhisit ha posto l'accento sull'esigenza di riconciliazione nazionale: ''Questa non e' una vittoria o una sconfitta di un particolare gruppo - ha dichiarato il premier, salito al potere grazie a un ribaltone parlamentare lo scorso dicembre -. Se la pace e l'ordine sono stati ripristinati, questa e' una vittoria della societa'''.
La fermezza dimostrata dal governo e' stata decisiva. Ma la sensazione e' che la deriva violenta delle camicie rosse abbia danneggiato il movimento, provocando divisioni anche al suo interno. Molti residenti delle zone coinvolte dagli scontri si sono rivoltati contro i manifestanti, e questa mattina applaudivano i soldati per il loro successo. I media thailandesi hanno definito ''banditi'' e ''terroristi'' i responsabili delle violenze; tre di loro hanno confessato di essere stati pagati per dare alle fiamme alcuni palazzi commerciali.
Mentre la capitale puo' festeggiare con maggiore sollievo il capodanno thailandese, con le tradizionali battaglie a gavettoni e secchiate d'acqua, il Paese guarda pero' con preoccupazione alle conseguenze della breve crisi sull'economia. Secondo il ministro delle Finanze, Korn Chatikavanij, la prevista diminuzione del Pil per quest'anno - tra il 2,5 e il 3% - dovra' essere rivista ulteriormente al ribasso, tenendo conto delle perdite che soffrira' il settore turistico e del temuto calo dell'attivita' produttiva, se l'instabilita' del Paese dovesse spaventare gli investitori stranieri.