Lo scorso aprile erano rano scesi in piazza, bloccando mezza Bangkok, per poi ritirarsi solo di fronte all'evidente superiorità delle forze dell'ordine. Ma le "camicie rosse" thailandesi, ossia i sostenitori dell'ex premier Thaksin Shinawatra, dopo alcuni mesi di pausa stanno tornando alla carica. E questa volta sono intenzionate a usare la loro arma principale - i numeri - puntando al gradino più alto possibile: re Bhumibol Adulyadej, 81 anni, presso il quale vogliono presentare una petizione per richiedere la grazia al loro beniamino.
A fine luglio, almeno 30mila "rossi" si sono radunati - per l'ennesima volta - nella capitale, in coincidenza del sessantesimo compleanno di Thaksin. L'ex primo ministro, estromesso da un colpo di stato nel 2006, condannato in contumacia per corruzione l'anno scorso e al momento in autoesilio a Dubai, è comparso con un altro messaggio in video, nel quale prometteva di tornare in patria prima del suo prossimo compleanno. Se lo scopo era quello di motivare un bacino elettorale che rischia di perdere la speranza, pare essere stato raggiunto: la petizione in favore di Thaksin, sostengono gli organizzatori, ha raccolto 5 milioni e mezzo di firme e verrà depositata il 17 agosto.
L'attuale governo di Abhisit Vejjajiva, salito al potere lo scorso dicembre grazie a un ribaltone parlamentare (che i "rossi" credono manovrato a tavolino dalle forze armate), si sta sbracciando per dire che la petizione non andrà da nessuna parte. Analisti nei media più vicini agli ambienti monarchici insistono ricordando che re Bhumibol è al di sopra della politica, e non dovrebbe esserci trascinato dalle varie parti in causa - altra verità che i "rossi", combattuti tra la tipica devozione thailandese verso il "padre" reale, cominciano a confutare con sempre più insistenza. Tecnicamente, presentare una petizione del genere al sovrano potrebbe anche essere materiale da accusa di lesa maestà", reato che in Thailandia prevede fino a 15 anni di carcere.
Si ripropone così quello che è stato largamente interpretato come un conflitto tra due blocchi di potere per la guida della Thailandia - l'establishment monarchico-militare consolidato e un movimento popolare che viene dal basso, rappresentato dal "nuovo ricco" Thaksin, che il primo blocco vorrebbe tenere fuori dai giochi a oltranza. Gli osservatori più indipendenti fanno notare che la questione, a lungo termine, non è più solo il ritorno o meno di un ex premier che rimane molto popolare.
"Le classi medio-basse, che fino a qualche anno fa erano trascurate dai vari governi, grazie a Thaksin si sono risvegliate. E non torneranno a dormire, con o senza di lui", spiega Thitinan Pongsudhirak, professore di scienze politiche all'università Chulalongkorn di Bangkok. Un'opinione che trova conferma in piccoli aneddoti di cui molti stranieri trapiantati in Thailandia hanno esperienza diretta: dal venditore ambulante che parla sempre più spesso di politica (e sempre a favore di Thaksin), al tassista che comincia a criticare il circolo di potere attorno a Bhumibol, la cui debolezza di salute avanza col passare degli anni.
Il governo di Abhisit intanto tiene, nonostante alcuni capricci di alleati che fino a nove mesi fa erano suoi rivali. Il giovane premier, che raccoglie il grosso dei suoi consensi tra le classi medio-alte, sta guidando con competenza il Paese attraverso la difficile crisi economica. La Thailandia sembra aver ritrovato la stabilità che sembrava perduta la scorsa primavera, ma potrebbe essere semplicemente il frutto della volontà di entrambe le parti. Nessuno vuole le elezioni ora: né Abhisit, cosciente del rischio di perderle, né i fedeli di Thaksin, che vorrebbero prima un'amnistia per lui e tutti i dirigenti del suo partito estromessi dalla politica per corruzione. Nel frattempo, Abhisit ha introdotto delle misure economiche - sussidi agricoli, bonus per le pensioni - che privilegiano i più poveri, nell'evidente tentativo di ingraziarsi parte dell'elettorato fedele all'acerrimo rivale.
Alessandro Ursic