Sciogliere subito il Parlamento, oppure fronteggiare l’anarchia a Bangkok e l’assedio alla caserma da dove il primo ministro dirige le operazioni contro i sostenitori dell’ex premier Thaksin Shinawatra, il populista magnate delle telecomunicazioni ora in esilio. Le "camicie rosse" thailandesi, in piazza da venerdì nella capitale per chiedere nuove elezioni, hanno deciso ieri di alzare la pressione sul governo di Abhisit Vejjajiva, con un ultimatum che ha fatto sfociare nella violenza una protesta finora pacifica.
Il primo ministro tailandese Abhisit Vejjajiva ha rifiutato questa mattina di rassegnare le dimissioni. I "rossi", sostenitori del primo ministro in esilio Thaksin Shinawatra, si sono riuniti in 90.000 nel centro di Bangkok, secondo le ultime stime della polizia. «I manifestanti hanno chiesto lo scioglimento del Parlamento nella giornata di oggi a mezzogiorno. La coalizione ha ritenuto che questa richiesta non potesse essere accolta», ha dichiarato Abhisit in diretta su tutte le televisioni pubbliche del paese. «Ho ribadito che il mio governo nasce da una nomina in Parlamento ed è sostenuto da una maggioranza di deputati (...). Il caos non sarà causato dal governo e voglio rassicurare la popolazione sul fatto che continuerà a lavorare», ha aggiunto il primo ministro.
Dopo lo scadere dell’ultimatum i manifestanti hanno assaltato una caserma. I dimostranti hanno lanciato una granata che ha ferito due soldati. «Inonderemo gli uffici del governo thailandese con il sangue donato dai manifestanti», rilanciano in piazza i capi della protesta. La protesta del sangue segue la decisione del premier di non dimettersi, come invece aveva chiesto l’United Front for Democracy against Dictatorship (UDD) per indirre nuove elezioni. «Chiederemo di donare il sangue a ognuno dei 100mila manifestanti dell’UDD e raccoglieremo un milione di centimetri cubici di sangue da versare di fronte alla sede del Governo domani», ha dichiarato il leader dell’UDD Nattawut Saikuer. La decisione segue quella di Abhisit di non dimettersi e rappresenta «un’ultima misura» per riportare al potere l’ex premier Thaksin Shinawatra, come spiega Nattawut.
Le "camicie rosse" stanno assediando il quartier generale dell’11esimo Reggimento di fanteria, da dove Abhisit dirige le operazioni. Dopo tre giorni di manifestazioni festose - concentrate nella zona vicina ai palazzi governativi - i sostenitori dell’ex premier Shinawatra sembrano quindi intenzionati ad allargarsi con l’obiettivo di portare il caos, creando una situazione simile a quella dell’aprile 2009: in quell’occasione le forze armate sgomberarono con la forza le barricate erette lungo le arterie principali di Bangkok, provocando due morti e un centinaio di feriti. Per quanto tutte le parti coinvolte escludano di voler ricorrere alla violenza, la tensione nella capitale si fa sempre più palpabile. La prova di forza delle camicie rosse, che volevano far valere l’arma dei numeri, non si è materializzata. Dopo aver prospettato per settimane una «marcia di un milione di persone», gli stessi organizzatori ieri hanno parlato di 300 mila manifestanti; per la polizia sono stati solo 46 mila, e i larghi spazi per muoversi attorno a Thanon Ratchadamnoen - la zona dove si concentra la protesta - hanno fatto pensare che la stima ufficiale fosse più verosimile.
Fallita la spallata, l'ex premier Shinawatra - che già avevano perso la spinta dopo la disfatta di un anno fa - è consapevole di trovarsi in una posizione delicata. Tornare a casa senza aver costretto Abhisit alle dimissioni significherebbe riporre definitivamente le speranze di andare a elezioni anticipate, in cui qualsiasi partito vicino a Thaksin sarebbe il favorito; provocare violenze rischierebbe di alienarsi le simpatie di chi ora è deluso dall’attuale sistema. La frustrazione per tale dilemma, unita alla pletora di teste pensanti tra i "rossi", alimenta una situazione di perenne incertezza, che non permette di escludere colpi di coda. Il governo Abhisit, che i manifestanti considerano un fantoccio dei militari e degli "aristocratici" vicini al re, ha finora dato un’impressione di compattezza, mobilitando 50 mila uomini delle forze di sicurezza, a cui ha affidato poteri speciali per tutta la durata delle proteste. E ieri, dopo aver ricevuto l’ultimatum, il premier ha accennato alla possibilità di dichiarare lo stato di emergenza, come lo scorso aprile: allora, la repressione scattò subito dopo.
Fonte: http://www.lastampa.it