Se mai riusciremo a far apporre una targa dal nostro Ambasciatore per Fabio potremo anche ricordargli queste parole, dimenticate, che non sono riuscite, neanche espresse dal Presidente, a far muovere la nostra Ambasciata e la Farnesina perche' chiedessero ufficialmente una indagine sulla sua morte, forse sarebbe ora che tutti i nostri connazionali morti all' estero avessero giustizia e che i responsabili, chiunque siano, rispondano davanti a un giudice dei loro delitti.
Questa iniziativa, se avra' successo, continuera' con la richiesta, civile e legale, di portare davanti a un tribunale internzinale i responsabili di tante morti innocenti.
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Da Repubblica.it (http://www.repubblica.it/esteri/2010/05/19/news/fabio_polenghi-4176090/)
Fabio Polenghi, 45 anni, ha perso la vita a Bangkok durante l'assalto finale dell'esercito all'accampamento delle camicie rosse. Era lì per scattare fotografie, per fare il lavoro che amava. Si trovava nella zona di Saladeng, a circa un chilometro dal centro del campo degli oppositori, quando è stato colpito al torace e all'addome. Un gruppo di colleghi l'ha caricato su una motocicletta ma la corsa verso l'ospedale è stata vana. E' stato guardando quelle drammatiche immagini in tv che un'amica l'ha riconosciuto: "L'avevo sentito ieri sera. Mi aveva detto che stava bene e che era tutto ok".
Polenghi era single e viveva a Milano, spesso dai genitori. Era in Thailandia da tre mesi, per conto di una rivista europea. In questo periodo era uscito dal Paese tre volte, sempre per lavoro. Dal 2004 era free lance ed era molto conosciuto tra i suoi colleghi. Aveva lavorato per importanti agenzie e testate, prime fra tutte Grazia Neri (dalla quale si era staccato prima della liquidazione), Vanity Fair, Vogue, Marie Claire, Elle. In 29 anni aveva girato una settantina di Paesi, in particolare in America centrale e meridionale. "Realizzo servizi fotografici nei settori del reportage, ritratto, moda e pubblicitario", diceva di se stesso su internet, definendosi "occasionalmente regista, con varie realizzazioni all'attivo, la più significativa tra le quali un documentario di 52' Linea Cubana che racconta di un padre, campione olimpico di pugilato e di suo figlio, campione nazionale nella stessa disciplina, realizzato a Cuba e distribuito dalla francese Finalement". Aveva esposto alla Citè des Sciences et de l'Industrie ed alla Expo del libro di Parigi.
"La fotografia era la sua passione e il suo amore - racconta Isabella Polenghi - Mio fratello stava facendo il suo lavoro e basta. Per ora noi sappiamo solo questo e sappiamo molto poco; cioè non abbiamo dettagli e non sappiamo altro, non abbiamo dettagli certi". "Mio fratello - ha aggiunto la donna, visibilmente sotto choc - viveva per la sua professione, era un appassionato di cronaca internazionale. Ha iniziato a fotografare a 20 anni. Anch'io sono fotografa, abbiamo iniziato insieme". "Lui - ha concluso - ha preso la strada del reporter, non faceva altro".
Un amico e collega che aveva lavorato con lui all'agenzia Grazia Neri lo ricorda come uno di quelli che "trovavi in ogni luogo ci fosse qualcosa da documentare". Ultimamente aveva fatto base a Delhi, oltre che a Rio de Janeiro, e a Milano "non si vedeva più come prima". "Io l'ho incontrato in Afghanistan e al G8 - dice l'amico - ma non c'era bisogno di chiedersi se Fabio si sarebbe trovato o meno in un certo luogo. Se accadeva qualcosa, lui era di quelli che si sa che si troveranno, prima o poi saltava fuori".
Grazia Neri è profondamente scossa: "No, non ho parole. Anche Fabio. E' terribile, un altro che se ne va. Ognuna di queste notizie mi prende il cuore. Ho in mente il suo viso. Proprio ieri ero a World Press Photo e commentavo con i colleghi come i fotografi siano sempre più vicino al pericolo, sempre più dentro...".
"Non era una persona che raccontava delle storie o che voleva politicizzare tutto ad ogni costo - racconta a Cnr Media il fotografo francese Fabrice Laroche che con Polenghi aveva lavorato per anni - Cercava le emozioni nella gente e non parteggiava per nessuno. Non aveva affatto l'abitudine di battersi per una causa, voleva essere piuttosto un testimone. Era una persona eccezionale e io sono davvero scosso dalla notizia della sua morte". "Veniva dal mondo della moda - prosegue - e per vocazione, io credo, ha scelto poi di lavorare in ambiti più personali e sulle relazioni umane. Abbiamo lavorato insieme ad un documentario su Cuba, abbiamo cercato di raccontare una storia familiare. Lui era uno che amava molto parlare delle relazioni personali".
L'impegno e l'amore per il suo lavoro avevano portato Polenghi a collaborare, ovviamente gratis, con Emergency. Un paio d'anni fa si era proposto di fare delle foto per l'organizzazione umanitaria e per qualche settimana era stato nel suo ospedale in Cambogia. A Emergency ricordano la sua passione e la bellezza delle sue foto.
Cordoglio per la morte di Polenghi è stato espresso dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che si tiene in contatto con l'Unità di Crisi della Farnesina "affinché siano rigorosamente accertate le circostanze e le responsabilità di quanto è accaduto".
A nome della Camera dei deputati, il presidente dell'assemblea di Montecitorio Gianfranco Fini ha sottolineato il valore e la professionalità dei tanti operatori dell'informazione, che quotidianamente lavorano in contesti internazionali difficili per testimoniarne e raccontarne la realtà anche nei suoi aspetti più drammatici. Sulla stessa lunghezza d'onda il presidente del Senato Renato Schifani: "In questo tragico frangente tutti noi dobbiamo riflettere sull'importanza fondamentale del lavoro svolto, anche a rischio della propria vita, dai professionisti dell'informazione che, in nome della verità, pagano purtroppo un alto tributo di sangue". Cordoglio è stato espresso anche da tutte le forze politiche.