Ascesa e declino in Indocina. La rivolta delle camicie rosse a Bangkok è solo l’ultimo evento che ha indebolito la Thailandia come paese influente nella regione. Mentre Usa e Cina si preoccupano della recente destabilizzazione, un paese limitrofo prepara il cambio della guardia.
Dai tempi antichi fino all’800, la penisola indocinese ha visto un succedersi di entità statali dominanti: impero Khmer, i regni Champa, Dai Viet, Lan Xang, Siam, non dimenticando la diretta presenza del Celeste impero per molti secoli e i tributi “di vassallaggio” puntualmente pagati dagli stati indipendenti. Solo a fine ‘700 si configura uno status quo, quando l’esercito siamese viene sconfitto dalle truppe vietnamite chiamate in aiuto della città sino-khmer di Ha Tien: principi cambogiani e laotiani restano vassalli del re del Siam, ma pagano tasse e tributi anche alla corte imperiale di Hue. L’arrivo dei francesi in Indocina congela le rivalità tra Bangkok e Hanoi fino alla fine della guerra in Vietnam, mentre a partire dagli accordi di Parigi del 1991, col venir meno della Guerra Fredda e con l’aprirsi al mondo di tutti i paesi dell’area, i giochi di potere tra le due potenze “sub regionali” in Laos, Cambogia e Myanmar si intensificano.È opinione comune tra gli stranieri in Vietnam e le élites politico-economiche di Hanoi considerare il Laos come una colonia. Il forte legame tra i due paesi nasce negli anni ‘70, quando il Laos diventa una repubblica socialista grazie al supporto dell’esercito vietnamita al Pathet Lao. Con la divisione del mondo socialista tra paesi filosovietici e filocinesi, Laos e Vietnam rafforzano i legami e le aperture in campo economico in Cina e Urss, portano i due paesi asiatici ad aprirsi timidamente al mondo esterno nel 1986: da questo momento Bangkok può far risorgere le proprie aspirazioni.
Sul versante economico la Thailandia detiene decisamente la parte del leone, risultando il primo investitore in Laos fino al 2008. In quell’anno, il Laos esporta il 35,4% della sua produzione in Thailandia, la quale fornisce ben il 68,3% sul totale delle importazioni. Le ragioni di tale primazia derivano dal livello di sviluppo economico thailandese e dal migliore collegamento su gomma e rotaia rappresentato dal Ponte dell’Amicizia (malignamente chiamato dai laotiani “ponte dell’Aids”), prossimo al raddoppio. Inoltre, l’affinità culturale e religiosa (buddhismo Theravada) è molto più forte tra Laos e Thailandia rispetto al Vietnam “sinizzato”, il thai è correntemente utilizzato come lingua di insegnamento scolastico e numerosi sono i laotiani che vanno in Thailandia per ragioni di studio e lavoro.
Ciononostante, Bangkok esercita un’influenza esclusivamente economica, mentre Hanoi può contare su molti punti di forza, non ultimo quello economico. Infatti, gli Ide vietnamiti a fine 2008 si sono attestati alla cifra record di 1,5 miliardi di Usd, quasi il doppio di quanto investito tra 1989 e 2007, facendo del Vietnam il primo investitore del Laos, fra l’altro nei settori strategici minerario, energetico e infrastrutture. Il Vietnam è il terzo partner commerciale (superato di poco dalla Cina) con percentuali “ridicole” (15,5% export, 8,5% import) che hanno visto un consistente aumento in valore (da 310 milioni di Usd del 2007 ai 450 del 2008). Si prevede di arrivare a un interscambio di 5 miliardi di Usd nel 2020.
Ma il legame tra i due paesi è soprattutto un risultato dei rapporti politici (entrambi regimi socialisti) e dei recenti trascorsi storici, affari militari in primis. L’aspetto più importante riguarda l’addestramento delle piccole e male equipaggiate forze armate laotiane e il governo di Vientiane ha spesso richiesto l’intervento diretto dell’esercito vietnamita per problematiche interne dovute a minoranze etniche. Quello con l’etnia Hmong è un conflitto conosciuto solo agli addetti ai lavori.
La Cambogia è storicamente il maggiore teatro degli interessi dei suoi grandi e “odiati” vicini. Fino all’arrivo dei francesi la Cambogia era di fatto assoggettata al Siam, a cui si sostituisce il Vietnam dal 1979 con la cacciata dei Khmer rossi e un’occupazione militare durata 10 anni. Dal 1979 agli accordi di Parigi nasce l’attuale dirigenza del paese, che rivela nel sempiterno primo ministro Hun Sen il forte collegamento tra i due paesi, rafforzato anche dai rapporti militari: non solo le forze armate cambogiane sono il prodotto dell’addestramento vietnamita durante l’occupazione, ma ogni anno vengono inviati centinaia di ufficiali in Vietnam per ricevere addestramento avanzato.
Gli unici consolati esistenti in Cambogia appartengono al Vietnam, rispettivamente a Shihanoukville e nella provincia di Battambong, creati per rafforzare la propria presenza (nello stesso modo in cui l’India ha creato la rete consolare in Afghanistan), a tutela degli interessi economici e della numerosa comunità vietnamita. Secondo le statistiche cambogiane i vietnamiti sono circa il 5,5% della popolazione. È una comunità spesso emarginata, povera e perseguitata, prevalentemente formatasi durante l’occupazione: molti vietnamiti hanno visto nella Cambogia un El Dorado (anche per attività criminali) e vi fu anche una spinta “colonizzatrice” di Hanoi.
Il Vietnam è il sesto partner commerciale della Cambogia (ma secondo esportatore, 16,9%) con un interscambio pari a 1,7 miliardi di Usd, con previsioni di scambi per 7 miliardi nel 2015. Gli investimenti vietnamiti sono irrilevanti, con alcune eccezioni. Nel febbraio 2009 la compagnia telefonica Viettel ha lanciato il suo servizio in Cambogia e in soli 3 mesi contava già oltre 500.000 utenti su un totale di 2,6 milioni. L’azienda è di proprietà al 100% del ministero della Difesa, è già operativa in Laos e prevede di entrare in Corea del Nord, Myanmar e Venezuela. Il gestore pubblico vietnamita Evn sta realizzando centrali elettriche e la PetroVietnam effettua prospezioni petrolifere, con l’obiettivo di estrarre petrolio nelle acque cambogiane nel 2012.
Come in Laos, il punto forte di Bangkok è il suo peso economico: è stato uno dei principali attori della ricostruzione del paese, è tra i più importanti protagonisti dell’industrializzazione cambogiana, attraverso investimenti, delocalizzazioni e contratti di business cooperation, è il primo esportatore (23,1%) e un fondamentale importatore di beni agricoli cambogiani. Ciononostante, la politica estera thailandese è stata poco lungimirante nei rapporti con Phnom Penh, per non dire disastrosa.
In passato sono state bloccate le importazioni di determinati prodotti cambogiani, primi fra tutti riso e cassava, per eliminare la forte concorrenza ai prodotti thailandesi. Il contenzioso si risolse in poche settimane, ma è bene tenere presente che tale situazione potrebbe ripresentarsi in futuro, dato l’importante peso della lobby agricola in Thailandia, primo paese esportatore mondiale di riso.
Sul versante politico, le questioni territoriali fra Thailandia e Cambogia sono state spesso affrontate con iniziative che hanno travalicato le semplici proteste verbali, come per le rovine del tempio di Preah Vihear. Già nel 1962, la Corte Internazionale di Giustizia aggiudicò il tempio e le aree territoriali adiacenti al regno di Cambogia, ma nonostante la sentenza, Bangkok continua a rivendicare l’area e a seguito di un incidente durante un’esercitazione militare nel febbraio 2009 vi sono stati scontri armati, con un numero imprecisato di caduti da entrambe le parti. Pare che nel 2003 un’attrice thailandese disse che Angkor Wat apparteneva alla Thailandia: la reazione popolare fu talmente violenta che la sede dell’ambasciata thailandese a Phnom Penh fu bruciata e quasi completamente distrutta.
Il Myanmar può essere considerato geograficamente una dipendenza della Thailandia, confermato da diversi fattori. A livello economico il peso di Bangkok è a dir poco schiacciante. Dal 1989 al 2007, la Thailandia ha investito 7,5 miliardi di Usd, oltre la metà di tutti gli Ide (a seguire Regno Unito e Singapore con 1,8 e 1,2 miliardi di Usd), detiene il primato di partner commerciale con oltre 4 miliardi di Usd, più del 40% del totale (segue Pechino col 17%), ovvero oltre la metà dell’export e un quinto dell’import birmano e il contrabbando di merci al confine birmano-thailandese sembra rappresentare una grossa fetta del commercio del Myanmar. Senza omettere gli oltre 600.000 lavoratori birmani registrati e più di un milione di lavoratori in nero, con le relative rimesse.
Hanoi è economicamente inesistente, salvo per l’ufficio di rappresentanza della Viettel e uno studio per il potenziale petrolifero di un’area marittima. Ciononostante, il governo di Bangkok non ha potuto instaurare buoni rapporti bilaterali con il vicino causa 2 milioni di rifugiati birmani nel proprio territorio, il traffico e la produzione di droga (con complicità interne dell’amministrazione thailandese) e le forti pressioni internazionali sulla Thailandia per fare a sua volta pressione su Rangoon.
Invece Vietnam e Myanmar hanno creato in pochi anni rapporti politici molto buoni viste le convergenze in regimi autoritari, sistemi a partito unico e soprattutto un passato più che trentennale di isolamento internazionale: l’ammissione nel 1997 del Myanmar nell’Asean è un capolavoro diplomatico vietnamita. Quale presidente Asean nel 2010 Hanoi non considera le libere elezioni birmane una priorità, posizione già espressa nel biennio 2008-2009 nell’ambito del Consiglio di Sicurezza. I rapporti si sono ulteriormente rafforzati con iniziative di dialogo sub-regionali come il meeting Cambogia-Laos-Myanmar-Vietnam (Clmv) e l’Ayeyawady-Chao Phraya-Mekong Economic Cooperation Strategy (Acmes). Questi forum hanno l’obiettivo di rafforzare la cooperazione fra paesi Asean meno sviluppati. In concreto, i due vertici citati hanno offerto al Vietnam l’occasione di riaffermare il proprio status sullo scenario regionale, condividendo la scena con la Thailandia, e il ruolo di portavoce e leader tra i paesi Asean meno avanzati, al tempo stesso ponendosi come modello di sviluppo.
Infine, il legame tra Hanoi e Rangoon (come per Laos e Cambogia) potrebbe divenire indissolubile grazie agli assi di trasporto del programma dell’Adb conosciuto come Greater Mekong Subregion: il corridoio Est-Ovest che collegherà il porto birmano di Mawlamyne al sistema portuale di Da Nang faciliterà il transito delle merci da e verso regioni prive di accesso al mare e taglierà tempi e distanze, anche per il commercio birmano verso i suoi principali mercati di sbocco nell’East Asia. A scapito delle strutture portuali thailandesi.
In conclusione, il governo di Bangkok non è stato capace di imporsi come potenza regionale dopo gli anni ‘90, nonostante la posizione geopolitica nella penisola, adeguato potenziale militare, una tradizione di media potenza, il supporto della comunità internazionale e degli Stati Uniti e un apparato economico molto sviluppato da paese industrializzato. Indubbiamente vi sono stati momenti di crisi che si sono abbattuti sulle sue capacità, come la crisi finanziaria del ’97, il colpo di stato militare, decisioni infelici di politica economica e dei cambi, l’attuale crisi economica mondiale, le proteste delle camicie gialle prima e delle camicie rosse poi. Il Vietnam si è dimostrato molto abile in questo frangente, anche se la geopolitica della regione si allarga ad altri attori internazionali.
La Charming Offensive cinese, basata su aiuti economici, interessa anche Laos e Cambogia ed è noto a tutti il rapporto privilegiato che lega il gigante cinese al Myanmar. Con la sua Look East Policy l’India ha attivato da tempo una cooperazione (anche militare per 200 milioni di Usd) con Rangoon volta a migliorare i rapporti, in primis per contrastare i movimenti indipendentisti nell’Assam, ed esiste una partnership strategica col Vietnam. Gli Sati Uniti sostengono come in passato l’alleato thailandese, ma è già in atto la nuova strategia del Pentagono mirata a fare del Vietnam il nuovo alleato principale in Indocina, in funzione anticinese ma non solo. Seoul ha effettuato forti investimenti nella regione diventando un attore pari a Tokyo, se non superiore, ma come i nipponici resta un nano politico. In mancanza di stabilità interna e una più incisiva politica estera in futuro, sembra che il governo thailandese abbia molto su cui discutere e riflettere assieme ai colleghi in Giappone e Corea.