lunedì, giugno 04, 2007

Dice addio al lavoro in banca e, passaggio dopo passaggio, fa il giro del mondo


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C’è un giovane italiano di 34 anni, Alberto Di Stefano, che dopo gli studi alla Bocconi e sette anni di lavoro nel reparto investimenti di Unicredit ha sentito all'improvviso il desiderio «di un viaggio attorno al mondo. Finiti gli studi, trovato un impiego sicuro, ad un certo punto ogni cellula del mio corpo mi ha detto: Parti!». Nel sottofondo delle sue parole, come il rumore del mare in una conchiglia, si sente la poesia di Costantino Kavafis: «Itaca ti ha donato il bel viaggio ». Anche Di Stefano, come il poeta, non sapeva cosa gli avrebbe regalato la sua meta quando nel 2005 è partito per i Caraibi. Lo scrive nel suo libro «Il giro del mondo in barcastop» appena pubblicato da Feltrinelli: «Avevo letto un annuncio sul giornale di vela Bolina che proponeva di presentarsi a Fiumicino per far parte dell'equipaggio di Okianos, una goletta di 21 metri che stava per salpare per i Caraibi».Ma il bancario non aveva ancora idea che quella era solo la prima delle barche su cui sarebbe salito. Non sapeva che il suo desiderio, il più mitico, di viaggiare era la prima luce di tante albe per i mari del mondo: da Fiumicino a La Spezia, passando per Algeri, Gibilterra, Canarie, Antille olandesi, Colombia, Galapagos, Polinesia, Fiji, Australia, Singapore, Sri Lanka, Corno d'Africa, Jeddah, Suez e Malta. «Pensavo che dopo il primo passaggio avrei continuato via terra, invece a Panama ho scoperto che esistono ancora gli avventurieri di una volta con cui imbarcarsi in cambio delle normali mansioni di bordo.

Ci sono cinque porti nel mondo: Las Palmas alle Canarie, Panama, Margarita, Papete e Phuket dove è molto facile trovare passaggi gratuiti. I comandanti li incontri nei bar al molo, leggi le loro domande nelle bacheche e su internet. Non serve neanche l'esperienza: sono barche piccole, con poco equipaggio, basta sapersi adattare, contribuire al pari degli altri, sopportare qualche turno notturno e soprattutto saper stare a lungo in mare. Perché metà del tempo io l'ho passato in mare». I compagni trovati Per Di Stefano, il particolare fondamentale di un viaggio è, appunto, il viaggio. E la compagnia: «Mai scegliere una barca dall'estetica ma dal carattere del comandante. Perché si raggiungono posti bellissimi, impossibili da trovare altrimenti. Ma il vero segreto è l'arrivarci, la preparazione, il tempo con gli altri e quello per le letture sotto il sole di tutte le stagioni ». Come in quel film di avventure simili, «The beach», con Leonardo Di Caprio: «Il paradiso non è dove vai o cosa fai. Ma quando senti di aver fatto parte di qualcosa. E quel momento dura per sempre». La compagnia insomma è l'altro punto da annotarsi. E non corrisponde allo stereotipo dei barboni vagabondi, «ma sono manager, architetti e studenti che si prendono un anno sabbatico. E una barca. Nei paesi del Nord Europa - spiega Di Stefano - è frequente, lo chiamano gap year, ed è assai ben considerato perché riposa la mente e fa tornare più motivati di prima. In Italia non c'è questa possibilità di lasciare il proprio posto così a lungo. Ho dovuto licenziarmi. Ma al ritorno dopo qualche colloquio in giro in cui mi guardavano strano per via di quest’esperienza, il mio capo mi ha proposto di riprendere il mio vecchio posto». La fidanzata perduta Chi non l'ha presa benissimo è stata Chiara, la fidanzata di Di Stefano, che dopo essergli rimasta telefonicamente accanto per l'intero viaggio, dopo un mese dal suo ritorno ha dimostrato «di non aver digerito la storia: ci siamo lasciati. D'altra parte è un'avventura che si deve fare da soli per potersi aprire agli altri e gustare quel che capita: se vedi uno che mangia sardine a colazione, devi accettarlo». E viene dunque da pensare che oltre il viaggio e l'amore, l'altro mito o forse sempre lo stesso, cui Di Stefano si è trovato di fronte è l'ignoto.

Una paura che già nasceva affettuosa prima della partenza, nelle parole del nonno: «Hai pensato al fatto che ti imbarchi con gente che non conosci?». «Sì, ci ho pensato», la risposta rispettosa del nipote. Per poi citare Baudelaire all'inizio del libro: «I veri viaggiatori sono coloro che partono per partire: cuori leggeri, come i palloncinii che vanno in alto, mai vorrebbero sfuggire al loro destino. E senza sapere perché, dicono sempre: andiamo!».

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