Si può essere genitori anche a distanza, adottando bambini che hanno bisogno di aiuto e sostegno per crescere nel loro Paese. Francesco, appoggiandosi all'associazione SOS Italia, ha deci si occuparsi della piccola Lee, una bimba del villaggio di Chiangrai, in Thailandia. E dopo qualche tempo, è partito dall'Italia per andarla a trovare. Questo il suo meraviglioso e commovente racconto. Perché la sua esperienza possa convincere altri italiani ad adottare a distanza.
«Sono le 7 del mattino e già sto trattando con l’autista del tuk tuk che – sperando che abbia capito – mi riporterà indietro dal villaggio SOS di Chiangrai, che dovrebbe trovarsi a una quarantina di chilometri dal capoluogo della provincia omonima, sulla superstrada che porta a Mae Sai, al confine con il Myanmar. E pensare che 10 mesi fa, durante uno dei miei frequenti vagabondaggi nel Sud Est Asiatico, ero passato proprio di li, sonnecchiando sul sedile posteriore di uno sgangherato autobus.
Questa volta invece ci vado per Lee, la “mia piccolina” – ormai la chiamo così – da quando la sua foto campeggia tra quella dei miei amici e della mia famiglia nel soggiorno di casa. I quaranta chilometri mi sembrano infiniti nella già caldissima mattina thailandese, penso e mi chiedo come sarà in carne e ossa la bambina, come sarà il villaggio, penso a un sacco di cose insieme quando, sulla sinistra, vedo il cancello di ingresso del “SOS Children’s Village – Chiangrai».
«Vengo accolto dalla responsabile delle adozioni a distanza, una paffuta Signora che tra i rituali mille inchini che ci scambiamo, mi versa un bicchiere d’acqua e mi spiega le attività del villaggio. Attualmente sono ospitati 59 bambini, a regime saranno 120. Il villaggio è stato inaugurato ufficialmente lo scorso dicembre dalla sorella della regina della Thailandia, un vero evento in quella che è la regione più povera del Regno del Siam. Non sto nella pelle, chiedo di vedere al più presto Lee. Passo davanti alle classi, c’è della musica che mi accompagna, mi viene spiegato che i bambini imparano anche a suonare degli strumenti musicali. Gli alberi da frutto fanno da contorno ad un bellissimo prato attorno al quale sono distribuite una dozzina di casette, le “famiglie”, ognuna delle quali ha una mamma SOS che cura dagli 8 ai 10 bambini».
«Arrivo davanti alla casa di Lee, c’è fermento all’interno, e ad un tratto ecco la “mia piccolina”. Non posso credere ai miei occhi, e il cuore batte a mille, Lee ha in mano un mazzolino di fiori e mi accoglie con il più bel “sawadee ka” della mia vita. E’ bellissima nel suo vestitino rosa, con i fermagli nei capelli, con la collanina ed i braccialettini – mi verrà poi detto dalla “mamma” che Lee è la più vanitosa della famiglia. Non so come fare a trattenere le lacrime, mi siedo insieme a tutta la famiglia intorno al tavolino basso, i bimbi fanno a gara per versarmi dell’acqua, sono circondato e tutti mi guardano curiosi. Mi fanno sedere tra Lee (5 anni) e sua sorella maggiore Tea (8 anni). Mi sento un po’ il “babbo” della famiglia. Siamo tutti un po’ imbarazzati. Sono il secondo farang che visita il villaggio in 18 mesi, scioglie il ghiaccio il più piccolo della famiglia, che mi si siede sulle ginocchia e mi guarda indagatore. Tutto adesso è più facile e nel giro di una mezz’ora me li trovo tutti addosso, giocano, ridono, si divertono a mettersi in posa davanti alla mia macchina fotografica. Sono felice, forse più di loro».
«Arriva l’ora di pranzo e Lee vuole che mi sieda ancora tra lei e la sorellina, dopo la preghierina mangiamo una ciotola di riso ai frutti di mare. Sono stupito dell’educazione dei bambini, siedono a gambe incrociate intorno al tavolo e usano le bacchette molto meglio di me. Il pomeriggio, venuti a sapere delle mie origini italiane, ingaggiamo l’immancabile partitella a calcio Italia-Thailandia con i bambini più grandi del villaggio. La merenda nel prato davanti alla casa, ancora tante foto, tanti sorrisi, tanti abbracci. Arriva il momento di andarsene. Prolungo i saluti il più possibile, mi vien voglia di portare via la mia piccolina, mi vien voglia di portarmeli via tutti – o forse no – stanno così bene li, in quel giardino, circondati dall’affetto delle mamme SOS. Se ci penso bene sono io che vorrei rimanere lì con loro. L’autista naturalmente non aveva capito e, per tornare a Chiangrai, mi faccio dare un passaggio su un cassone di un camion pieno di operai che tornano alle loro case. Ma va bene così. Oggi ho passato una delle più belle giornate della mia vita». (Libero News)