giovedì, settembre 11, 2008

Crisi in Thailandia, inizia era dell'incertezza.

Crisi in Thailandia: inizia un'era d'incertezza

In Thailandia le manifestazioni di piazza stanno diventando un'abitudine
Didascalia: In Thailandia le manifestazioni di piazza stanno diventando un'abitudine (Reuters)

La Corte costituzionale ha destituito martedì il primo ministro thailandese Samak Sundaravej e il suo governo. A Bangkok resta in vigore lo stato d'emergenza in seguito agli scontri tra oppositori e sostenitori del governo. L'instabilità incombe sulla Thailandia, perno democratico della diplomazia svizzera nel sudest asiatico.

Decretando lo stato d'emergenza a Bangkok a inizio settembre, il primo ministro Samak Sundaravej ha ammesso alla luce del sole la sua impotenza. In primo luogo perché sono falliti i tentativi di porre fine al movimento di protesta attraverso la via negoziale.

L'altra spina nel fianco del primo ministro è rappresentata dai militari, che si sono rifiutati di disperdere le migliaia di manifestanti che nella capitale assediano e presidiando gli uffici governativi. Un rifiuto che pesa parecchio, dal momento che lo stato d'emergenza vieta la presenza di gruppi di più di cinque persone.

"Siamo preoccupati senza però esserlo veramente": sono le parole di Jean-Philippe Jutzi, portavoce del Dipartimento federale degli Affari esteri (DFAE), che per ora non sconsiglia agli svizzeri di viaggiare in Thailandia. Una posizione condivisa dal consolato di Thailandia a Ginevra. "La gente non si lascia prendere dal panico solo perché un primo ministro thailandese si fa fischiare", relativizza lo svizzero Armand Jost, console onorario di Thailandia.

Nessuna analogia con il golpe del 2006

Jost riconosce comunque che il paragone tra gli attuali disordini e quelli di due anni fa – che si sono conclusi con un colpo di stato dei militari – è presto fatto. Sottolinea tuttavia che nel caso attuale la situazione appare diversa: il capo delle forze armate Anupong Paochinda, ha dichiarato a più riprese di non voler intervenire facendo ricorso alla forza.

Armand Jost ricorda inoltre che anche durante il colpo di stato del settembre 2006 non era esploso nessun colpo d'arma da fuoco. "Nella nostra cultura – aggiunge – il termine colpo di stato ha una pesantissima connotazione. In un paese che ne ha già vissuti 18 dopo l'abrogazione della monarchia assoluta nel 1932, è un po' diverso".

Indubbiamente... ma è altrettanto evidente che dalla primavera del 2006, quando i primi contestatori si erano riuniti per chiedere le dimissioni dell'ex leader populista multimiliardario Thaksin Shinawatra, a Bangkok le manifestazioni di piazza stanno diventando un'abitudine.

Alle origini della crisi

La realtà è sotto gli occhi di tutti: i movimenti di protesta non cessano di crescere, anche dopo la partenza dell'indesiderato Thaksin, il passaggio del potere nelle mani dei militari (autunno 2006), l'organizzazione di nuove elezioni l'inverno scorso e la formazione di un nuovo governo di coalizione affidato a Samak Sundaravej.

L'attuale sistema – e tutti in Thailandia concordano su questo punto - non è armato per uscire da questa situazione. Il paese, di fatto, è confrontato con una grossa crisi politica, le cui origini sono profonde e risalgono all'epoca di Thaksin Shinawatra. L'ex primo ministro, molto criticato ma anche molto efficace, ha voluto imporre alla nazione uno sviluppo economico a tambur battente, anche a scapito di spazzare via tradizioni ancestrali.

Nel 2002 aveva tentato di liberare la società thailandese da una corruzione ben ancorata nel tessuto sociale ed economico, avviando nel contempo la sua "guerra totale contro la droga". Ha però rimpiazzato la corruzione con una nuova formula di compagni di merende, basata su alleanze opportuniste tra uomini di affari piuttosto che su privilegi di classe trasmessi di generazione in generazione.

Città contro compagna

Lo stile inaugurato da Shinawatra, basato sullo scambio di favori, ha prodotto un diffuso malcontento e ha profondamente diviso la popolazione in due. Risultato? Le comunità rurali e urbane hanno cominciato a guardarsi con diffidenza e incomprensione. Grazie a misure populiste e popolari – come la visita medica a 30 baths (circa un frano svizzero) per tutti – il Paperon de Paperoni thailandese era riuscito a conquistare l'elettorato delle campagne.

Diametralmente opposta la posizione della classe intellettuale delle città, che ha subito compreso il rischio di affidare a Thaksin Shinawatra le sorti del paese, che lui considerava come un'azienda di cui era l'unico padrone, potendo inoltre far man bassa sulle forze dell'ordine e sugli organi di informazione nazionali.

Attaccare l'intoccabile

Se il movimento di protesta ha assunto forza e ampiezza, ciò è dovuto anche al passo falso compiuto da Thaksin Shinawatra, che si è spinto nel voler attaccare l'intoccabile, conquistando così l'inimicizia dello stesso re Bhumibol Adulyadej, decano di tutte le teste coronate del pianeta e venerato dai suoi sudditi.

Le idee moderne di Shinawatra si sono inoltre scontrate con una certa visione della Thailandia, buddista e tradizionale, ben ancorata nell'orgoglio nazionale. Si è così giunti ad una situazione paradossale: manifestanti che chiedono meno libertà e meno democrazia, l'esercito che non interviene per ripristinare l'ordine pubblico ma per "restituire al re ciò che appartiene al re", ossia il diritto di esercitare un ruolo morale più che politico, dal momento che oggi il monarca non ha più un potere reale.

La portata della crisi

Dopo l'esilio dell'ex primo ministro multimiliardario, la crisi non si è però sopita. Anzi, il confronto si inasprisce di giorno in giorno: secondo gli oppositori l'attuale capo del governo Samak Sundaravej non è altro che l'uomo di paglia del suo predecessore.

In tali condizioni, non è forse lecito temere un'esplosione della violenza? "Fino ad oggi – commenta Armand Jost – i thailandesi sono sempre riusciti a trovare soluzioni positive per uscire dalle difficoltà, non vedo dunque perché non debba essere così anche questa volta. Un secondo colpo di stato sarebbe mal visto dalla comunità internazionale".

Per il DFAE "è cruciale che la Thailandia resti un paese stabile" e suggerisce di non dipingere la situazione più brutta di quanto non lo sia. Jost ritiene inoltre che non bastano i movimenti di piazza per rimettere in gioco le eccellenti relazioni tra Svizzera e Thailandia.

swissinfo, Niki Nadas
(traduzione e adattamento dal francese Françoise Gehring)


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