venerdì, maggio 28, 2010

Migliaia in preghiera per la pace nel Paese mentre Ex primo ministro minimizza sulle accuse di terrorismo.



THAILANDIA
Bangkok, migliaia in preghiera per la pace nel Paese
di Weena Kowitwanij
All’alba cristiani, buddisti, musulmani e indù si sono riuniti in 10 punti della capitale per rinnovare l’appello alla riconciliazione. Analisti spiegano che le divisioni restano profonde e sono necessarie riforme socio-politiche per riportare la coesione nazionale. La resa delle “camicie rosse” non significa la pace.

Bangkok (AsiaNews) – Questa mattina migliaia di cittadini di Bangkok si sono svegliati all’alba, per partecipare a preghiere interreligiose di pace e riconciliazione, organizzate in almeno 10 punti della capitale. Il canto di oltre mille monaci buddisti si è mischiato con litanie di imam musulmani, sacerdoti e leader cristiani, fedeli indù. La metropoli, abitata da circa 15 milioni di persone, nelle scorse settimane è stata teatro della protesta delle “camicie rosse” che ha causato 83 morti e oltre 1900 i feriti.
Tuttavia, diversi esperti di politica thai spiegano che “senza riforme importanti del sistema socio-politico”, troppo legato all’elite finanziaria della capitale, le preghiere e gli inviti alla riconciliazione “non metteranno fine a una polarizzazione della crisi”. La massa rurale che sostiene i rossi – legati all’ex premier in esilio Thaksin Shinawatra – cercherà nuove forme di protesta che avrà ripercussioni per “miliardi di dollari sulll’economia”. Nei giorni scorsi il premier Abhisit Vejjajiva ha rilanciato il piano di riconciliazione, che intende promuovere in parallelo riforme politiche e una maggiore giustizia sociale. Nove settimane di proteste, le più cruente della storia recente del Paese, hanno lasciato il segno ed è poco probabile, aggiungono i politologi, che il piano possa funzionare “senza la partecipazione dell’opposizione”, guidata da Thaksin.
In un editoriale pubblicato sul Bangkok Post Thitinan Pongsudhirak, docente ed esperto di sicurezza in internet, spiega che “sarà difficile raccogliere i cocci degli ultimi due mesi” e “siamo solo all’inizio”. Egli aggiunge che “è stato un errore” lasciare che Thaksin unificasse le diverse anime dell’opposizione e ora è necessario “lavorare con i leader moderati” del movimento. E se, sottolinea, Abhisit è “troppo compromesso” con le violenze degli ultimi giorni, il premier dovrebbe considerare l’ipotesi di “fare un sacrificio personale che dia ad altri la possibilità di intraprendere il cammino di pace”.
Anche il Daily Newspaper conferma che “la resa delle camicie rosse non significa la fine” e non è detto che riporterà la pace nel Paese. “Dobbiamo aspettare – si legge nell’editoriale – ancora a lungo” e il numero dei morti non sembra preoccupare il padrino dei “rossi” – Thaksin Shinawatra – che tempo fa ha detto “Se non sopravvivo, nessun altro sopravvivrà”.
Attraverso AsiaNews leader buddisti vogliono infine rinnovare l’appello alla pace nel Paese. Phra Phaisarn Visalo, monaco nel tempio di Erawan, nella provincia di Chaiyapoom sottolinea che “il Dharma può mettere fine alle violenze basate sulla giustizia sociale”, invitando le persone a “condividere le risorse e aiutando i poveri”. Egli aggiunge che “ci vorrà tempo per la pace”, e per questo bisogna trarre insegnamento dagli errori del passato”. Phramahawuthichai Vachiragaethee, direttore di un istituto buddista, suggerisce di “non peggiorare la situazione, rivendicando ciascuno la ragione e addossando agli altri il torto”. “Nessuno può dire di essere nel giusto o nell’errore – afferma lo studioso – perché ciascuna parte ha i propri errori” ed è più saggio cercare una soluzione “con coscienza e saggezza”.



Thaksin: le accuse di terrorismo del governo thai sono di natura politica
L’ex premier in esilio respinge le imputazioni ed esclude l’intervento dell’Interpol per arrestarlo. Per il governo egli avrebbe manovrato i manifestanti e finanziato la frangia estremista “nera”, responsabile delle violenze. Analista politico: da Thaksin e Abhisit un passo indietro per il bene della Thailandia.

Bangkok (AsiaNews) – L’ex premier in esilio Thaksin Shinawatra, accusato di essere l’eminenza grigia che ha manovrato la protesta e le violenze delle scorse settimane, nega ogni coinvolgimento e minimizza il pericolo di essere arrestato. Bangkok ha chiesto l’intervento dell’Interpol per catturare il leader del movimento di opposizione antigovernativo. In un’intervista telefonica Thaksin ha risposto che l’agenzia di intelligence – con base a Parigi – non agisce per accuse di natura “politica” e imputa all’esecutivo un atteggiamento di “confronto”, più che di “riconciliazione” per il bene del Paese.
Thakisn Shinawatra ha rotto il silenzio che ha seguito la repressione del governo contro le “camicie rosse”, che per due mesi hanno occupato intere aree della capitale. La peggior crisi politica attraversata dalla Thailandia nella storia recente ha causato 88 morti e oltre 1900 feriti. L’ex premier – secondo l’Afp rifugiato in Montenegro – è intervenuto in diretta telefonica nel programma Lateline del network australiano ABC per raccontare la sua versione dei fatti.
Le autorità thai hanno emesso un mandato di arresto con l’accusa di terrorismo per Thaksin, che potrebbe sfociare anche in una condanna a morte. Egli parla di “ragioni politiche” alla base dell’incriminazione, che a suo dire “non hanno fondamento”. “Ho sempre chiesto proteste pacifiche – aggiunge – e ho sempre detto al mio popolo che noi, la Thailandia, abbiamo bisogno di riconciliazione”. Intanto sono stati arrestati due stranieri, un britannico e un australiano, con l’accusa di aver partecipato e fomentato le rivolte. In particolare appare critica la posizione di Jeff Savage, 48 anni, filmato mentre incita la folla a incendiare il centro commerciale CentralWorld.
L’ex premier tenta di allontanare le ombre, secondo cui sarebbe responsabile delle violenze delle ultime settimane. Egli avrebbe infatti finanziato i manifestanti, garantito il rifornimento di armi per “i neri” protagonisti di assalti e incendi, intimato all’ex generale Khattiya Sawasdipol – colpito a morte da un cecchino il 13 maggio scorso – di continuare nella linea dell’intransigenza e adottare strategie di guerriglia contro l’esercito governativo. “Il governo parla di riconciliazione – accusa l’ex premier – ma usa il pugno di ferro… ciò significa che essi puntano più allo scontro, che alla riconciliazione”. Thaksin ribadisce di non aver “mai, mai” usato l’arma della violenza e nega la presenza di una frangia armata che ha causato incendi e devastazioni.
La responsabilità delle “camicie rosse”, o di una parte del movimento di opposizione, nelle violenze è testimoniato da nastri, registrazioni e racconti di persone presenti nella zona occupata della capitale. Arisman Pongroengwrong, uno dei leader del partito di opposizione United Front for Democracy against Dictatorship (UDD), durante un comizio avrebbe rivendicato il possesso delle “tre gemme: la massa, il partito, gli assassini”, confermando il sostegno “degli uomini in nero” ai manifestanti.
Il governo e l’ex premier Thaksin continuano il braccio di ferro, rinfacciandosi accuse e responsabilità per la crisi politica che ha trascinato nel caos il Paese. Esperti di politica thai ammettono che “forse la linea dura dell’UDD ha preso in ostaggio il movimento e impedito i negoziati” con l’esecutivo. Come è altrettanto evidente che “una parte delle camicie rosse era interessata a trattare” e una “maggiore concessione” in termini di tempo avrebbe evitato la guerriglia urbana.
Thitinan Pongsudhirak, docente ed esperto di sicurezza in internet, in un editoriale pubblicato dal Bangkok Post ricorda come “già nell’aprile 2009 il premier Abhisit ha subito una pesante contestazione” dei “rossi”, che ha causato un morto e l’interruzione del vertice Asean. Per calmare le opposizioni, egli ha promesso riforme che non sono mai arrivate. Il docente sottolinea che “è compito del governo riportare le opposizioni al tavolo delle trattative”, escludendo dal panorama politico nazionale Thaksin. “Vanno coinvolti i leader moderati e riammessi alcuni leader politici esclusi nel 2007”, dopo la cacciata dell’ex premier. E se Abhisit è “troppo compromesso” con le violenze degli ultimi giorni, conclude l’analista, egli dovrebbe considerare l’ipotesi di un “sacrificio personale che dia ad altri la possibilità di intraprendere il cammino di pace”.

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