sabato, maggio 15, 2010

Suicidio di una nazione

Lo scontro politico ha perso ogni equilibrio e si è trasformato in massacro, un bagno di sangue per le strade
di Francesco Sisci Fonte: lastampa.it

Il destino della Thailandia è quello paradigmatico di un paese dove lo scontro politico perde il suo equilibrio e diventa lotta barbara di sopravvivenza tra due gruppi contrapposti. Alla fine il risultato inevitabile, oggi come ai tempi antichi, lì come qui, è quello del sangue per le strade.

Bangkok era piena di militari in allerta rossa, bande contrapposte di militanti armati erano in cerca di uno scontro frontale, il paese pareva sull’orlo di una devastante e sanguinosa guerra civile. Questa era la città che fino a qualche settimana prima sembrava destinata a essere solo e per sempre la capitale del turismo, la Mecca del servizio per gli ospiti, il mondo dei sorrisi, il paradiso della vacanza.

La Thailandia che fino a qualche anno fa era leader del sudest asiatico, che pareva destinata a inseguire Sud Corea e Giappone sulla strada dello sviluppo, in pochissimo tempo ha deciso di suicidarsi. Oggi sembra cercare la morte come paese e seguire quindi compatta il destino del suo sovrano Bumiphol, ormai vecchio e malato: se il re è morente, lo stato pare volerlo seguire nella tomba.

I problemi attuali, che coinvolgono tutta la regione, riguardano due aspetti diversi ma collegati proprio nella persona del re. Uno evidente è l’incapacità del paese di trovare un punto mediano di accordo, di compromesso. Questo “equilibrio di equità”, che in inglese diventa “fair play”, è quel modo di convivenza politica per cui chi vince accetta di non stravincere e chi perde accetta di perdere. Tale accordo è la base della democrazia, chi perde le elezioni non perde tutta la sua fortuna o la vita.

Questo accordo è saltato in Thailandia quando alcuni poteri forti, dietro il re, hanno rifiutato il verdetto delle urne che consegnavano il potere a Thaksin. La conseguenza politica razionale sarebbe sata quella di istaurare una dittatura con una conseguente spietata repressione. Questo è accaduto nella vicina Birmania.

Ma in Thailandia le elite non hanno potuto o voluto istaurare una dittatura vera e volevano invece le sembianze di democrazia... senza però tornare alle elezioni. Ciò è evidentemente insostenibile perché senza repressione quelli che pensano di poter vincere le elezioni, in questo caso le camicie rosse leali a Thaksin, vogliono tornare alle urne e perciò protestano.

Le alternative sono estremamente difficili per il re: se istaura una dittatura chi comanda sono i generali, altrimenti è Thaksin. In entrambi i casi lui perde il potere

È la fine di un re che ha dominato il paese dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi in perenne equilibrismo di forze politiche diverse ma senza nessuna prevalente. Oggi questo è finito ma il nuovo assetto politico non è ancora nato.

Nel governo c’è da settimane l’idea di farla finita con le camicie rosse, solo che fino ieri era molto difficile nei fatti, poiché i militanti rossi erano guidati da Khattiya Sawasdipol, il generale con più esperienza di guerra della Thailandia. Khattiya prometteva di dare battaglia e spingere in ritirata le truppe che avessero tentato di ricacciare i dimostranti. Il governo in un scontro con i rossi poteva perdere centinaia di soldati ed essere comunque sconfitto sul campo.

Giovedì notte un cecchino ha sparato a Khattiya e qualcuno tra gli anti Thaksin pensa che senza la sua guida militare i rossi siano più facili da sgominare.

Potrebbero avere ragione, ma una soluzione militare funziona solo se spinta fino in fondo con una repressione dura e se si è pronti a subirne le conseguenze politiche ed economiche. Bangkok in mano a leader con le mani lorde di sangue non sarà più un paradiso delle vacanze, la sua economia si avviterà verso il basso e lo sviluppo della regione ne subirà le conseguenze. Non è chiaro se le elite di Bangkok sono pronte a tutto questo, e senza di questo le proteste, presto o tardi torneranno a esplodere.

Le parti dovrebbero trovare un compromesso razionale, ma in realtà una volta aperto il vaso di Pandora della politica emozionale nulla è più come prima e non c’è spazio per la ragione. Così il destino della Thailandia pare segnato, come per un malato terminale e ciò riprova anche una vecchia lezione dei sistemi democratici: sono fragili e vanno maneggiati da tutti con cura, il ritorno alla dittatura non è mai sconfitto per sempre e anzi è sempre in agguato.

Video & Notizie in dieretta da Bangkok sul forum ARIOS:
http://ariosforum.it/index.php/topic,1166.new.html#new

Sparano a civili disarmati:
http://www.youtube.com/watch?v=bxI1z266EXo&feature=player_embedded

P.S. I Video vengono regolarmente censurati e bloccati dal governo Thai, non so per quanto tempo i link funzioneranno.
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