Il Paese e' ancora messo a dura prova da una crisi politica che attanaglia la Thailandia dal 2006
Bangkok - Somchai Wongsawat non si dimetterà. Il primo ministro thailandese lo ha annunciato in un intervento televisivo, durante il quale ha presentato il programma di governo dei prossimi due mesi. A nulla, dunque, sembrano essere servite le manifestazioni di piazza di questi giorni o il suggerimento delle forze armate, e in primis del comandante dell’esercito, il generale Anupong Paochinda, di fare un passo indietro dopo gli esiti degli scontri del 7 ottobre tra dimostranti e forze dell’ordine.
Nonostante i disordini abbiano provocato la morte di due persone e il ferimento di altre 500 e generato un clima di tensione senza precedenti, Somchai Wongsawat non ha rinunciato al suo incarico. Come stabilito, all’indomani degli scontri davanti al Parlamento, il primo ministro ha incontrato sessantasette ambasciatori stranieri accreditati a Bangkok, ai quali ha subito voluto ribadire che “i problemi interni” del Paese saranno risolti nell’ambito del “processo democratico”. Un incontro messo in agenda per cercare di rassicurare la comunità internazionale e gli investitori, ai quali il leader ha garantito che in nessun caso saranno adottate misure antidemocratiche per risolvere la crisi.
A reclamare le dimissioni di Somchai Wongsawat sono anzitutto i sostenitori del Pad, l’Alleanza del popolo per la democrazia, il partito d’opposizione costituito da attivisti, docenti universitari, operatori economici, esponenti delle organizzazioni del volontariato e delle agenzie per lo sviluppo sostenibile. Tornati nuovamente in piazza il 18 ottobre, i rappresentanti del People’s Alliance for Democracy hanno sventolato, sempre in segno di protesta, foto del capo del governo con la scritta “assassino”.
Somsak Kosaisuk, uno dei leader del Pad, ha spiegato alla folla che il primo ministro “ha ordinato alla polizia di uccidere i manifestanti”. Motivo per cui “i thailandesi dovrebbero mandar via questo pessimo governo”. Gli attivisti hanno ora in programma la distribuzione di “centomila libri e compact disc che documenteranno le violenze del 7 ottobre”. “La verità – ha detto Somsak – mostrerà che il governo non ha la legittimità di guidare il Paese”.
Somchai Wongsawat è stato nominato premier dal Parlamento solo poco più di un mese fa, dopo la destituzione del suo predecessore, Samak Sundaravej, un “falco” di destra che negli anni Settanta incitò l’esercito a reprimere nel sangue una protesta studentesca: la Corte suprema aveva ritenuto incompatibili con l’incarico di primo ministro alcune sue apparizioni retribuite in un programma televisivo di cucina.
Nonostante il 12 settembre Sundarevej abbia tentato la ricandidatura, la sua elezione si è subito rivelata priva di successo: si è trovato di fronte ad un Parlamento che non aveva il numero legale per procedere al voto. Il People’s Power Party aveva già maturato la decisione di escludere il 73enne Samak. Davanti al persistere della protesta degli attivisti dell’opposizione, che da oltre due mesi occupano la Government House di Bangkok, il Ppp ha preferito consegnare il timone nelle mani di un uomo considerato “più diplomatico”.
Wongsawat, 61 anni e una carriera ventennale nella magistratura prima di dedicarsi alla politica, ha ottenuto in Parlamento 298 preferenze su un totale di 480 votanti, mentre il suo avversario, il leader del Democratic Party Abhisit Vejjajiva, è riuscito a conquistare soltanto 163 voti. In occasione della cerimonia di ufficializzazione della sua elezione, ha promesso di lavorare con “onestà, perseveranza e moralità” per il bene dello stato.
Dichiarazione che non ha assolutamente convinto i sostenitori del Pad, che lo accusano di essere solo un burattino nelle mani di suo cognato, l’ex premier Thaksin Shinawatra, in esilio a Londra e condannato per corruzione dalla Corte Suprema a due anni di carcere. Motivo per cui l’opposizione è sempre stata scettica sulla possibilità che Somchai Wongsawat possa garantire al Paese una maggiore “indipendenza e credibilità”.
Nonostante il premier abbia dichiarato di essere intenzionato ad avviare un “dialogo fondato sul rispetto reciproco e sulla solidarietà” e a restituire alla nazione un clima di “riconciliazione”, i tragici eventi delle ultime settimane hanno smentito i suoi buoni propositi. Il Paese è ancora messo a dura prova da una crisi politica che attanaglia la Thailandia dal 2006, da quando cioè Thaksin è stato rovesciato ed esiliato con un colpo di stato.
Per il Pad, il Ppp di Somchai Wongsawat è semplicemente un’altra veste dell’ormai sciolto Thai Rak Tai, il partito creato da Thaksin, che per l’opposizione continua ancora oggi a muovere le fila della politica thailandese attraverso i suoi fedeli scudieri. Il clima di crisi che si respira nel Paese rappresenta il termine ultimo di un crescendo di tensioni che trova origine nel risultato elettorale del dicembre 2007, che non è stato in grado di esprimere una leadership forte e inattaccabile.
L’esecutivo, già indebolito dalla nuova costituzione imposta dai militari subito dopo il golpe, continua, da una parte, ad oscillare sotto le pressioni della forza anti-governativa rappresentata dal Pad, e dall’altra, a resistere alle numerose imputazioni contro diversi membri del Governo e verso alcuni deputati della maggioranza accusati di brogli elettorali.
Giovanna sfragasso
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