Goodnight Bangkok!
Fonte dal sito: http://temi.repubblica.it/micromega-online/L’intervista di Tg3 Persone, 10 maggio 2009
I giorni sono trascorsi veloci, hanno composto le settimane di cui è fatto un mese. Il ritmo della nuova vita ha rapidamente preso il sopravvento sulle vecchie abitudini, presto dimenticate, e siamo stati introdotti nella dimensione del loro spazio, del loro tempo. È come se in questo periodo di permanenza forzata nello stesso luogo, nella stessa camera, dove abbiamo passato buona parte del nostro tempo, lo stop, imposto dalla malattia al frenetico peregrinare cittadino, ci avesse consentito di dare respiro ai nostri pensieri, intasati dall’aritmico (perché contro l’ordine naturale delle cose) susseguirsi di impegni, di incombenze, di scadenze imposti dalla quotidianità.
Siamo stati affascinati dalla pacatezza della gente Thai: dalla loro puntualità non frenetica, dalla loro disponibilità cortese. Abbiamo osservato stupiti l’estrema cura per il corpo, vissuta non come gestualità esteriore legata all’immagine, ma come percorso di benessere psico-fisico fatto da lenti rituali volti alla riscoperta e rivalutazione del sé.
Abbiamo ascoltato i loro pensieri sussurrati, mai urlati. Abbiamo ammirato le donne di questo paese, così femminili e mai volgari nella loro bellezza, eppure forti e determinate al tempo stesso, eleganti, quasi mai provocanti, a volte imbarazzanti nella loro disponibilità.
Abbiamo guardato Bangkok con gli occhi di occidentali, violentemente investiti dalle sue contraddizioni, ove il lusso estremo di moderni alberghi e grattacieli è lambito dalla povertà delle baracche che spesso vi si trovano accanto. La città ha fretta, di crescere e di sottrarsi alla miseria, almeno quella apparente, come agli ultimi brandelli di jungla non ancora ingoiati dall’asfalto e dal cemento. Eppure Bangkok è riuscita anche a conservare una sua anima: è ancora la città dei templi dorati, di una sentita devozione al buddhismo, della vita sul fiume, dei suoi tantissimi mercatini all’aperto, per nulla intimiditi dai grandissimi e lussuosissimi “shopping centers”.
Noi ci siamo mossi con molta naturalezza da un posto all’altro, sostenuti dalla loro attenzione per la disabilità. Nonostante l’uso della carrozzina, necessario per Paolo se si trattava di stare fuori a lungo e camminare molto, non abbiamo incontrato barriere insormontabili né architettoniche (quasi ovunque ci sono rampe di accesso per disabili) né tantomeno umane; ovunque andassimo l’aiuto era costante: se c’era bisogno di caricare o scaricare la carrozzina pieghevole dal taxi, aiutare Paolo a sedersi in macchina, e anche di fronte al minimo ostacolo c’era sempre qualcuno pronto a prendere letteralmente in braccio Paolo e la sua carrozzina per superare l’ostacolo. Anche quando uscivamo da soli, nella immensa e tentacolare Bangkok, in realtà non lo eravamo mai, sapevamo di poter contare sull’aiuto di chiunque.
La gentilezza, l’abitudine al sorriso, vissuti come una costante normalità, conferiscono a questa gente un fascino indubbiamente particolare, soprattutto per noi che abbiamo visto crescere i disagi e le limitazioni di Paolo sotto gli occhi dell’imbarazzo infastidito dei sempre frettolosi, per lo più nevrotici, spesso prepotenti, abitanti delle città italiane. Quando ti va bene puoi essere oggetto di indifferenza, la gentilezza e la cortesia sembrano un’utopia. Eppure siamo famosi nel mondo per la nostra generosità ed accoglienza, ma se ti fermi un attimo a pensare e a fare un bilancio dei comportamenti più comuni, registrabili in una città italiana, siamo ben lontani dall’immagine romantica del passato. E alla nuova indifferenza sociale, comune peraltro a tutto l’occidente “progredito”, gli italiani possono essere sicuri di aggiungere una spiccata propensione verso l’assoluta mancanza di qualsiasi regola del vivere civile. La violenta anarchia (non già nel senso nobile del termine) che imperversa nelle nostre città fa di esse delle jungle (metaforiche ma non meno pericolose di quelle vere) ove tutto è possibile, come per esempio, occupare in tutta tranquillità i parcheggi riservati ai disabili da parte di chi disabile non è; nella selva di macchine, che affollano strade e marciapiedi, camminare, evitando buche e accidenti del terreno, diventa un’impresa quasi impossibile per chi ha difficoltà di movimento.
Abbiamo salutato Bangkok una sera sul fiume, guardando le sue luci e i suoi bellissimi templi dai finestrini bagnati dalla pioggia monsonica del battello su cui abbiamo cenato, insieme ai nostri carissimi dottori Torsak, Witt e ad alcune infermiere del Piyavate Hospital. In una calda atmosfera di amicizia e convivialità abbiamo trascorso l’ultima sera in Thailandia, commossi per l’affetto e l’umanità da cui siamo stati circondati. Probabilmente conformi alla loro cultura, i medici di Paolo in Thailandia non hanno curato solo il suo corpo ma hanno anche sollevato la sua anima (e di conseguenza anche la mia). Il dottor Torsak si è dimostrato disponibile a seguire Paolo anche a distanza, il che ci solleva, e non poco, ma ci rende protagonisti di un caso curioso, visto che al momento è l’unico dottore a seguire Paolo. In Italia difatti non abbiamo avuto ugual fortuna, essendosi tutti i neurologi, da noi consultati, ben presto sbarazzatisi di un caso che giudicavano forse inutile seguire o senza speranza o non so cos’altro ancora. Cerco una spiegazione plausibile, ma non la trovo, soprattutto se confronto la nostra esperienza a quella di altri ammalati di Sla, praticamente nelle nostre stesse condizioni di “abbandono”.
Al momento non possiamo fare altro che aspettare l’esito della cura ed attendere, come ci è stato detto, dai tre ai sei mesi per vedere gli esiti del trattamento; Paolo, naturalmente, continuerà a fare fisioterapia, sapendo che si procederà per alti e bassi.
Il bilancio definitivo della cura non possiamo che farlo dunque tra sei mesi, quello umano lo abbiamo già fatto e ci è rimasto nel cuore!
Maria